A pesca tra i prati (già pubblicato su Flyline) Marco Sportelli
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La primavera è come il pifferaio magico. La sua musica è tanto suadente da penetrare perfino il grigio delle città e noi, nonostante il frastuono e le urla concitate del vivere moderno, ne percepiamo la melodia soprannaturale, il richiamo stregato. Come i bimbi della favola sappiamo che dobbiamo partire, seguire queste note che vibrando nel nostro cuore ne affievoliscono la volontà. I lavori restano a metà, gli impegni rimandati, le mogli cercano invano di trattenerci. E’ primavera. E’ tempo d’andare a pesca.
Primavera - Primavera per me equivale a risorgiva e risorgiva mi riporta alla mia primavera di pescatore a mosca. Ne avevo letto su "Pescare" ma non avevo mai visto un pescatore in azione ne un negozio che ne vendesse l'attrezzatura. L'occasione mi si presentò nei miei vent'anni, quando fui assegnato, come Ufficiale di Complemento, ad una caserma di Verona. Passeggiando in libera uscita avevo notato sul lungofiume un piccolo negozio che esponeva in vetrina, con semplicità, una discreta varietà d’attrezzatura da mosca. Tutte le sere, come un bimbo davanti al banco delle caramelle, m’incollavo alla vetrina sognando di trote, di mosche e di tutta la magia che doveva essere nascosta lì dentro, in quel piccolo negozio. Come investii il mio primo stipendio è scontato. Appena tornato a casa in licenza, montai canna, coda e finale. Legai alla meglio una mosca e senza che nessuno m’avesse insegnato (si vedeva… e si vede ancora), provai a lanciare su delle timide bollate. Con mio grande stupore, nonostante le parrucche e la mosca che non voleva andare avanti, due temerari cavedanelli si fecero catturare dalla mosca, ed io con loro. Per sempre. Priorità - A quei tempi la pesca era per me una priorità. Tornato a Verona quasi non passava sera che non mi recassi lungo il Fibbio ad insidiarne le sospettosissime trote con la mosca. Allora, inesperto ed Appenninico di provenienza, quelle fario di pianura che bollavano tra prati di trifoglio mi stupivano, le credevo un’anomalia. Non sapevo ancora che proprio in questi ambienti era nata “l’Arte” e che in Italia c’era solo l’imbarazzo della scelta. Il primo giorno entrai in acqua, ma scoprii che era molto più profonda e fredda di quanto immaginavo. Il successivo, essendo gli stivali ancora bagnati, mi avvicinai cautamente al bordo, ma imparai che neppure gli anfibi militari eran poi tanto “anfibi”. Il terzo venni a patti con la mia testardaggine e concordammo che era necessario un approccio diverso: non era un torrente appenninico, nemmeno un corso di fondovalle; avremmo dovuto evitare di sguazzarci dentro. Pazienza. Di contro ci risparmiavamo lunghe scarpinate, non c’erano sassi su cui inciampare e neppure scivolose cascate da superare. In Appennino avevo imparato che le trote non amano acque aperte ma cercano protezione dalla corrente e dai predatori; prediligono posti dove converge facile cibo o dove l'acqua accumula le prede. Ma qui!? Difficile cercare punti di riferimento: le tane, i massi, l’inizio buca, l’incrocio di due correnti… tutti gli hot spot del torrente erano andati. Al loro posto solo ammassi di piante acquatiche, rive infide, roveti spinosi, ma più di tutto, morbose, insaziabili erbe infestanti che si prodigavano in appassionanti abbracci con la mia coda di topo. Vogliamo aggiungere che dovevo anche imparare la tecnica!? Un disastro. Gran maestro il Fibbio, ma per il principiante assoluto qual’ero il tirocinio fu senza sconti: per me furono solo trotelle! Però, oltre alla modestia, è la che ho velocemente imparato l’importanza del dragaggio, della scelta dell’imitazione, della necessità di muoversi lentamente e con attenzione alla ricerca di pesci in attività. E’ la che ho imparato ad amare l’acqua fredda, limpida e costante che fluisce silenziosa tra i prati. Quando ero giovane la scuola, lo sport, gli amici, le donne, soprattutto le donne, rubavano molto tempo alla pesca. Ora, dopo vent’anni e tre figli, la mia vita è talmente cambiata che mi sento di sottrarre tempo alla famiglia anche per poche ore passate al fiume. Però, un paio di giorni ad inizio Aprile in queste quiete acque del piano non riesco a negarmeli: sono un lungo respiro, un modo di fuggire, allontanarmi, da un mondo più veloce, complicato e caotico di quello che potrebbe essere. E gli scrupoli di coscienza? Beh, in verità sono solubili in acqua da trote e poi, certe priorità, una volta stabilite, vanno mantenute! Pesca in risorgiva - Tracciando una retta tra Verona e Gorizia se ne intersecano a decine, dalla più grande d’Europa, a piccoli rivoli neppure segnati sulla cartina, dalle più note ed inflazionate ad altrettante valide per quanto sconosciute. Questi ambienti stupefacenti e preziosi purtroppo non han goduto della cura riservata per secoli ai nobili Chalk Streams Inglesi. Disboscati, arginati e canalizzati son oggi in gran parte ostaggio dell’agricoltura intensiva. Sulle loro sponde si alternano a campi di granoturco ed erba medica, roveti, fitti arbusti ed i rari residui di macchia planizia. Così a zone con facili, comodi accessi se ne contrappongono altre impraticabili. Sono acque difficili, che di solito attirano e riescono a far convivere facilmente (non si incontrano mai) due categorie di PaM dal carattere contrapposto: il contemplativo e il compulsivo. Il primo le affronta in modo empatico: si apposta sul prato; scruta gli svogliati pesci che pinneggiano tra le mille sfumature della vegetazione acquatica in lento, costante movimento; assapora la calma del luogo, pensa come penserebbe una trota, rispettandone tempi e ritmi in attesa del momento giusto. Insomma… peggio che star dietro a una donna! L’altro si concentra sull’azione: indossando wader di gomma affronta zone paludose, rovi, siepi invalicabili; va a “caccia” di trote, aguzzando la vista in cerca di bollate o di pesci attivi ai bordi della vegetazione. Io sono un po’ più del secondo tipo, cammino, scruto, m’intrufolo ovunque fino a trovare una preda che bolla. Solo allora rallento, mi rilasso e concedo a questi difficili pesci tutti il tempo che si meritano. Fatico ma catturo. E quelli del primo tipo?! Beh, se dopo un giorno passato in riva al fiume a guardar crescere l’erba, non hanno ancora buttano la canna alle ortiche, sicuramente hanno acquisito le basi fondamentali della filosofia Zen!!! A pesca in due - La roggia che ho scelto oggi è un segreto. So che è un segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto. E’ frequentata solo da locali e qualche foresto ben informato. Ho portato un amico collaudato, non ama questi posti ma mi accompagna ugualmente. Tutto sommato sono un buon compagno di pesca: non fumo, catturo meno e gli scatto un sacco di foto. Inoltre lui, essendo mancino, preferisce l’altra sponda… del fiume intendo! Ci muoviamo lentamente, aspettando la schiusa di mezzogiorno e difatti, dopo un paio d’ore passate a cercare rari pesci attivi sul nulla, ecco materializzarsi cerchi corposi e costanti che fanno sparire le sempre più fitte coppie d’alette. Le prime catture sono facili ma ora, che le effimere scendono sulla corrente come pendolari dal metrò all’ora di punta, sono solo rifiuti. Quest’anno mi sono preparato con cura: ho sfogliato qualche libro d’insetti, ho imparato che l’ephemerella ignita ha cambiato nome ed ho costruito decine di modelli sofisticati. Cerco di concentrarmi nell’individuare il tipo d’effimera e lo stadio su cui è focalizzata l’attenzione dei pesci ma il mio compagno poco più a monte mi distrae continuamente. Lui ha un'ignoranza enciclopedica sull’entomologia: non sa nulla d’effimere, ma neppure di tricotteri e plecotteri! Di cose di cui io non ne ho la minima idea, lui ne sa ancora meno! Tuttavia trova sempre l’imitazione perfetta per quel momento e, come ora, me lo fa anche notare sottolineando ogni cattura. Altro artificiale, altro rifiuto. Perché più le trote rifiutano più gli occhielli delle mosche sembrano rimpicciolire? OK! Questa chernobyl appesa alla patch poco assomiglia ai naturali, ma è già qui e montarla è un attimo. Alla prima passata la trota sale a ghermirla. Forse dovrei correggere il nome: Chernobyl è meglio scriverlo in maiuscolo! E’ comunque un caso, di solito queste trote sanno di cosa cibarsi, non ho mai trovato stupidi pesci ma solo stupidi pescatori in queste acque. Però, qualche considerazione mi va di farla. Sulle mosche – Non credo alla “mosca esatta”. Ho le tasche piene di scatole di artificiali ma generalmente ne utilizzo solo due-tre modelli, su varie taglie, che riescono a coprire la maggioranza delle situazione di pesca italiane, Ma in schiusa intensa, lo ammetto, la cosa si complica. Il pesce si focalizza su qualche “particolare”, a noi di difficile individuazione, che l’aiuta a riconoscere l’insetto. Che non sia colore, modello o materiale a far la differenza lo si deduce dal resoconto serale: ciascuno ha catturato con artificiali diversi. Mi sono convinto, invece, che "mosca giusta" significhi azzeccare un artificiale che imiti in parte l'insetto che sta sfarfallando, ma, soprattutto, il suo assetto in acqua. Solo quando il nostro ciuffetto peloso genera il giusto connubio tra peli, piume e tensione superficiale si ottiene quel particolare “particolare” che convince il pesce all’attacco. A pesca da solo – Inizio estate, metà pomeriggio. Destinazione finale: Prealpi Carniche, ma il cielo minaccioso mi suggerisce una breve deviazione per tornare qua. Mi piace andare a pesca con gli amici ma capita spesso che vada da solo. Lo faccio per stare con me stesso, o perché son triste, oppure allegro, spesso per nessuno dei tre e… permette di cambiare idea. Col progredire della stagione le ultime ore di luce sono le uniche proficue in risorgiva ed oggi, catalizzate da questa bassa pressione, lo potrebbero essere estremamente. Difatti, il fiume è morto, ma perlomeno sembra tutto per me. Mi muovo verso monte scrutando nel riflesso grigio dell’acqua. Con la coda dell’occhio percepisco, finalmente, cerchi ormai deformi portati a valle dalla corrente. Un minuto nulla; due neppure. Inizio a dubitare quando l’acqua si apre in un'altra impercettibile bollata. E’ proprio li dove me l’aspettavo: purtroppo un cespuglio proteso e la posizione del pesce obbligano ad una posa estremamente precisa. Il contrasto di corrente e la ridotta finestra visiva, richiedono un lancio perfetto ed anche così occorrerà più di un poco di fortuna. M’impongo calma e concentrazione. Un mio amico, molto alternativo e seguace di non so quale filosofia orientale, mi dice sempre che occorre rilassarsi, percepire la canna come un’estensione del corpo, lasciar fluire il Karma lungo la coda, fino alla mosca, che come proiezione della mente si poserà sempre dove noi la vogliamo. Con questi esercizi di concentrazione e rilassamento ho imparato cose straordinarie. Ad esempio ho scoperto che in una vita precedente ero una scimmia… diversamente non mi spiego come mai le mie mosche finiscano sempre appese ai rami! M’avvicino molto lentamente ed entro in acqua in precario equilibrio sulla ripida sponda. Sono in posizione. Della trota nessuna traccia. Mi avrà sentito? Un altro cerchio si materializza. Ho imparato a non lanciare subito …ecco un'altra bollata!… E’ molto importante. Di regola ne aspetto almeno tre consecutive per lasciargli tempo di riprender confidenza. Un “contemplativo”, bello come il sole, appare all’improvviso sull’altra riva, proprio dove il mio pesce sta salendo per la terza volta. Accenna un saluto e comincia a pescare. La trota è ormai dileguata. Contraccambio con un falsissimo sorriso. Mi sgranchisco le gambe e mi sposto più a valle, augurandogli che la prossima schiusa provenga dalla sua scatola di mosche. Le sedge – Più a valle catturo qualche trotella e qualche immagine: quest’ultime a saziare la mia vanità. Se mi ostino a scrivere i motivi possono essere vari e non facili da individuare ma, considerando che a pesca mi piacerebbe non pensare ad altro, ho di sicuro un ego in perfetta forma da alimentare se sto a perdere tempo con foto ed articoli. Le nuvole spostate dal vento fanno spazio ad un cielo ormai oltre il tramonto: è l’ora della sedge… e delle zanzare. Sono sulla guida Michelin delle zanzare: vengono a provarmi anche da fuori provincia! Meglio parlare di Sedge. Imitare una sedge è molto semplice e, quando ci sono le condizioni, credo sia la cosa più pratica ed efficace d’appendere al finale. Difficile casomai è realizzare il giusto movimento che induce a salire la trota. Schiusa per me significa effimere, però devo ammettere che ad una certa ora eliminare l’esile nylon e montare una sedge è diventato ormai un rito piacevole ed irrinunciabile. Cambiano anche le aspettative: grosso nylon + grossa sedge = grosso pesce. Think big direbbero gli americani. La cattura - Torno al cespuglio che è quasi buio. La rivedo bollare. La sedge fa il suo lavoro, il finale anche e dopo un lungo momento eccola nella rete: bella, grassa, con una larga pinna caudale. La stimo 45cm, così diciamo che realmente potrebbe essere quasi 40. La degna conclusione di una bella giornata. Sono pur sempre “acque libere”: una sola bella cattura, ottenuta con perseveranza e determinazione molto spesso è sufficiente a giustificare un intero pomeriggio di pesca. Il silenzio ovattato del tramonto sta la sciando il posto a piccoli, inquietanti rumori notturni. L’acqua, ormai nera, continua a scorrere fredda e costante. Di certo avevo tanti demoni in testa e bisogno di una buona pescata per scacciarli, ma, per un lungo momento, non riesco a ricordare perché sono qui questa volta. PS: non vi ho rivelato nessun dressing innovativo e neppure dov’è la roggia, così immagino di avervi fatto perdere tempo. Delusi?! Consolatevi pensando alle parole di L. De Boisset: “se limitassimo la nostra passione ad attività e nozioni puramente utilitaristiche rischieremmo ben presto di morire di noia!”
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