Anche questo numero lo apriamo con una sezione estratta dal Manuale di pesca della Scuola AICS. Si tratta dell'epilogo, l'ultima pagina del volume, dove si disquisisce di etica, tanto cara ai progenitori di questa disciplina quanto carente in questi giorni di fiumi super-affollati, schiuse scarse e poco pesce. Lo scritto, che è opera di Giuseppe Cesaletti, prende in considerazione anche il modo migliore di manipolare il pesce senza danneggiarlo e devo ammettere che il suo metodo è infallibile, perché si sa, il modo migliore per non arrecargli danno è…         non prenderlo J.

  Etica e pesca a mosca

Giuseppe Cesaletti 

 

 

 La parola (deriva dal greco Ethos = costume, norma di vita) indica l’insieme delle norme di condotta che, secondo la propria natura e volontà, una persona segue nella vita o in un’attività. E’ fuori dubbio che nel tempo queste norme hanno assunto un significato ed un valore diverso. Possiamo affermare che, agli albori, lo stimolo principale fu la sopravvivenza. La caccia e la pesca, quindi, furono i primi mezzi per raggiungere tale scopo. Oggi la situazione è diversa. Nella scala dei valori, alle soglie del terzo millennio, è di prioritaria importanza salvaguardare la Natura, gli ecosistemi e la biodiversità. Un pescatore che si avvicina ad un corso d’acqua, oggi lo fa per stare in contatto colla natura (la più integra possibile), per ricaricare le pile contro lo stress e, in ultima analisi, per godersi la pratica di uno sport coinvolgente come la pesca a mosca. Non dimentichiamoci mai di questi valori.

Qualcuno ha scritto che il mondo non è di proprietà nostra, lo abbiamo in prestito dai nostri figli. La frase ad effetto è forse un tantino retorica, ma inconfutabilmente vera. Se vogliamo lasciare ai posteri un mondo migliore, di quello che abbiamo ricevuto (e di cui spesso ci lamentiamo), per primi dobbiamo cominciare a comportarci in modo diverso. Possiamo fruire delle bellezze dei fiumi senza deturparle. Lungo i corsi d’acqua, non lasciamo immondizie di sorta. Raccogliamole, se ne incontriamo, stigmatizzando, all’occorrenza, anche quelli che sporcano.

           Rispettiamo i pesci che catturiamo, adottando tutti gli accorgimenti necessari allo scopo. Il retino non è in optional. Una “bestia”, come quella nella foto, non si spiaggia nel più breve tempo possibile senza l’ausilio del guadino. Risparmiando l’accumulo d’acido lattico nel nosro amico pinnuto, abbreviando la lotta, gli risparmiamo la vita. Non meno frequente è l’usanza di procrastinare il rilascio per sottometterlo al rito dell’ispezione, misurazione, fotografia … e intanto si sente come un pesce fuor d’acqua …

Se anche la legge permette di trattenere cinque esemplari fra salmonidi e timallidi, ricordiamoci di quelle specie che rischiano l’estinzione, come la mormorata, la macrostigma, il temolo padano e non, adottando l’autoregolamentazione nelle catture. E’ il caso certamente di non demonizzare chi vuole, una tantum ma non di più, farsi una mangiata di pesce, o riesce ad allamare, beato lui, l’esemplare da record e lo vuole impagliare per far morire d’invidia gli amici (meglio, comunque una fotografia).

Un discorso a parte meritano le misure minime per considerare un pesce annoccabile. Qui non vogliamo aprire diatribe circa la lunghezza opportuna per ogni singola specie, in funzione delle temperature, capacità bentoniche e della popolazione, espresse nelle piramidi sostenibili da ogni singolo corso d’acqua ecc. (chi più ne ha più ne metta), ma ci pare scontato che non siano degne di considerazioni certe misure minime indicate in taluni regolamenti. Valga per tutte le misure ancora (purtroppo) vigenti per i salmonidi. Lunghezze di 20/22 cm per la trota sono vergognose (il buon senso scarseggia sempre).

Com’è vergognoso il comportamento di quei pescatori che prendono il pesce per le branchie, o per l’opercolo, o, peggio, lo manipolano come avessero per le mani il collo del capo ufficio o della suocera. I danni, anche se non immediatamente individuabili, sono irreversibili. Basti pensare a quali delicatissimi organi sono le branchie e la linea laterale del pesce.

Nell’elenco dei potenziali danni arrecabili al pesce, non vogliamo certo dimenticare la madre di tutte gli inganni: la mosca artificiale. E’ divenuta prassi comune, in fase di costruzione della mosca, schiacciare l’ardiglione dell’amo (o usare modelli barbless). Pur se i dati scientifici non riescano a dimostrare in modo inconfutabile che l’ardiglione schiacciato comporti un’effettiva diminuzione della mortalità, possiamo concordare che facilita il rilascio del pescato. Provate ad infilzarvi nella carne una mosca con l’ardiglione e capirete presto la differenza. Quando poi il pesce s’ingoia profondamente l’artificiale, un paio di pinze si dimostrano assolutamente utili e se vi troverete in difficoltà, non abbiate dubbi, tagliate il filo. Il pesce vi sarà riconoscente per il resto della sua vita.

Tutti questi accorgimenti, senza dimenticare di bagnarsi le mani per manipolarlo, assicurano la forma migliore di quell’essere che rappresenta il fine ultimo della nostra attività di pescatori. Lee Wulf ha scritto: ”La trota è un bene prezioso che è un peccato pescarla una volta soltanto”. Parole sante!

Secondo questa visione idilliaca della pesca a mosca, risulta difficilmente conciliabile la figura del garista. Effettuare una gara per eleggere il più bravo, utilizzando esclusivamente come metro la quantità del pescato ucciso, spesso con sistemi che d’ortodosso non hanno niente (riferito non soltanto alle tecniche di pesca), su pesci immessi allo scopo ecc., non ha nulla di sportivo. Se gara deve esserci (ma che senso ha portare la competizione all’esasperazione anche nel nostro passatempo?), che sia su avversari più naturali possibili, misurandoli e rilasciandoli, non annoccandoli (ammesso che il garista possa perdere tempo con gesti pietosi). Meglio sicuramente effettuare competizioni basate sulla distanza e precisione di lancio, magari direttamente sull’acqua e in presenza d’ostacoli naturali.

Siccome mi sono assunto l’onere di fustigare il malcostume imperante, non pensiate che abbia finito. Nel variegato mondo dell’imbecillità umana, un posto importante lo ricopre il pescatore. Quante volte abbiamo assistito a scene in cui due si accapigliavano per arrivare prima sulla bollata, o si contendevano il posto. Cerchiamo quindi di rispettare lo “spazio vitale” di ognuno. Se ci capita di incontrare lungo il corso d'acqua un collega, sorpassandolo, lasciamogli 500 m di fiume per pescare. Eviterete di essere uccisi dal rimorso … e forse anche da lui.

Non voglio insistere ulteriormente ma, come il salutare uno che s’incontra, mi sembra ovvio che tutto ciò debba far parte del bagaglio, più che tecnico di un pescatore, di una persona civile…

Ammesso che, tra la moltitudine dei pescatori a mosca assatanati, vi si trovino ancora individui di siffatta specie.

In una società in cui compiamo tanti gesti inutili, il programmare l’attività per poter passare un po’ di tempo con noi stessi, in simbiosi con la natura, le nostre emozioni, paure e sentimenti, rappresenta un momento stimolante di crescita. Non so voi, ma io ho bisogno di stimoli. Ho bisogno di amare: le donne, il mondo che mi circonda e quello che sto facendo. Avere degli amici, con cui condividere momenti di autentica gioia e le emozioni, oltre che bello, è necessario. La pesca a mosca rappresenta per me tutto questo e molto di più. Provate ad immaginare per un momento a quante possibilità di approfondimento ci permette la pesca con la mosca artificiale: tecnica di lancio, costruzione di artificiali, costruzione delle canne, entomologia, collezionismo, biologia … “naufragar me dolce in questo mare”

Si ringrazia A. Piller per le foto gentilmente concesse