Fly Box

(già pubblicato su Flyline)

Marco Sportelli

 

    

Certi ricordi dimorano negli occhi, altri nella pelle. I più sorprendenti sopravvivono nel naso: sono quegli improvvisi Deja-vu olfattivi che rimandano lontano nel tempo. L’odore di un tubetto di cera od il particolare sentore di certi vecchi colli aprono improvvisamente stanze della mia mente cui non posso accedere diversamente. Poiché precluse contengono ricordi mai logorati dal tempo, immagini fresche ed intense che mi mostrano, attraverso gli occhi stupiti del ragazzo qual’ero, l’incanto del fare e la felicità del possedere dei primi tempi. Penne e piume, ami, fili, e poi le pinzette, i bobinatori, il morsetto. Tutto l’indispensabile per creare magici feticci con cui sfidare le Regine del fiume.

Tutto contenuto in una valigetta di legno. Per quanto logora ed anacronistica, possiedo ed utilizzo ancora quella valigetta. La comprai, assieme ad un libro di Lumini, ancora prima d’imparare a lanciare. Da un lato un set completo da costruzione fissato tramite elastici su un fondo di velluto blu, dall’altro le tasche ed i barattolini dove disporre la minuteria. Per anni è stato il mio piccolo tesoro: la pagai una cifra superiore alle mie possibilità e nei mesi successivi trangugiò gran parte dei miei già miseri risparmi.

Soldi spesi bene perché ora mi basta aprirla, cercare nelle tasche il materiale necessario e montare il morsetto per approdare in un luogo senza tempo, sempre alla continua ricerca della mosca assoluta, l’imitazione perfetta, il Graal piumato cui nulla possa resistere.   

“Non si sa mai” - Le chiamiamo mosche artificiali, imitazioni d’insetti. Per noi che siamo abituati a costruirle e vederle sembrano tali, ma, osservate con l'occhio del profano, ed è un esperimento che ho già fatto, vi garantisco che: "Si, son' carine e simpatiche ma non mi sembra che somiglino molto agli animaletti di quelle foto!". D’accordo, saremo un po’ presuntuosi nel definirle “imitazioni d'insetti” però, considerando che almeno 300.000 tipi d’organismi viventi sono ancora da classificare e la maggioranza è proprio rappresentata da insetti, possiamo sempre sperare che qualcosa di simile esista!

Alcuni sono portati a pensare che il “fare mosche” sia solo un male necessario per poterci andare a pesca, qualcuno le compra, altri al contrario vanno a pesca solo per testare il lavoro che svolgono al morsetto, e sono certo che chi si avvicina alla pesca a mosca lo faccia in parte proprio per scoprire il segreto nascosto in queste esili creazioni.

In ogni modo, a prescindere dalla valenza, l’impegno o la fiducia che noi riponiamo in quest’attività, il quesito che ci assilla al morsetto ed insegue lungo il fiume è sempre il medesimo: noi ci vediamo una mosca, il profano una curiosità, ma il pesce… cosa ci troverà di tanto interessante il pesce?

Una domanda retorica, sottile, una di quelle che stazionano senza risposta sotto il pelo dell’acqua, per emergere di tanto in tanto e farsi dubbio solo quando il pesce ci mette un punto interrogativo.

Davanti all’ignoto l’uomo ha scelto da sempre fra due vie: la fede con i suoi dogmi o la magia con i suoi riti e feticci. Basta guardare dentro le nostre scatole per capire che anche nel terzo millennio non conosciamo una terza via: in certi periodi trabocchiamo di fede e le riempiamo con artificiali dai nomi famosi ed altisonanti, in altri ci lasciamo sedurre dallo stregone del momento e ne copiamo tutti i modelli. Quello che però ci frega veramente è “non si sa mai”. “Non si sa mai” è uno dei tabù più radicati nel pescatore a mosca, talmente radicato da impedire di disfarci delle centinaia d’imitazioni che da anni giacciono inutilizzate nelle nostre scatole. “Non si sa mai” è il vero motivo per cui, malgrado passiamo parte dell’inverno ad ottimizzare il nostro stock, le tasche dei nostri giubbotti traboccano di scatole che traboccano di mosche. 

La costruzione - Gli scaffali di qualsiasi negozio, i cataloghi e soprattutto il web ci scodellano già pronto tutto ciò che i nostri nonni avrebbero dovuto costruire con le loro mani, oppure, per farci passare il tempo, ci propongono di fare a mano quello che prima si poteva acquistare già fatto. La cosa più aberrante l'ho vista in un negozio di modellismo: un veliero precostruito da inserire in una bottiglia di plastica, col fondo svitabile. Un’idea geniale: un passatempo con il tempo già passato. Come comprare la settimana enigmistica con gli schemi già compilati.

Costruire mosche artificiali si discosta da questi cliché. Ci permette contemporaneamente di creare qualcosa d’utile e di passare piacevoli momenti. Molti moschisti sono però poco propensi a mettersi al morsetto, non tanto per l’attività in sé, ma per la taglia degli artificiali che siamo ormai soliti realizzare: tanto piccoli da perderci gli occhi.

Le imitazioni sul 14 rimangono inutilizzate per anni, quelle sul 16 sempre più raramente toccano l’acqua, mentre è luogo comune pensare che per catturare occorra appendere al finale qualcosa di microscopico. Io non sono certo esente da questa mania: un giorno ho legato al finale una mosca tanto piccola che l’ho asciugata ed ingrassata un paio di volte prima di accorgermi che in realtà l'avevo persa al primo lancio!

Non solo sono antipatiche da costruire ma diventano invisibili in acqua e dopo un paio di catture non ne vogliono più sapere di stare a galla. Sulle minuscole mosche secche, questi piccoli esseri microscopici che non vogliono galleggiare, ci vorrei scrivere un libro: "L'insostenibile leggerezza dell'essere". Peccato che qualcuno mi abbia già rubato il titolo! 

Le mie scatole – Che siano microscopiche poco importa, anche loro vanno ordinate nella loro scatola e la loro scatola va riposta in una delle tante tasche già stracolma di scatole.

Occorre razionalizzare. Io ho risolto così: nei piccoli torrenti porto con me un’unica piccola flybox con Chernobyl, RCP (Royal Coachman Parachute), qualche sedge e delle Klink, taglia 14-16, in caso di pesce attivo su di una schiusa... “non si sa mai!”

Nelle altre occasioni porto la scatola di mosche da caccia con qualche RCP, la collezione completa di Chernobyl, cavallette, grosse e grossissime sedge e plecotteri da volo intercontinentale.

Una scatola d’effimere in diverse taglie, colori e filosofie costruttive.

Una scatola con Klink dal 14 al 20, formichine, formiconi, piccole sedge e qualche parachute.

Una con emergenti in CDC e plecotterini in quill.

Una desperation box: lunga, piatta, con i supporti in foam, che contiene qualche ninfetta più tutti quegli ammassi informi, poco definiti ed in genere microscopici cui ricorro ogni volta che le scelte logiche e “razionali” sono esaurite. Non hanno nome e non potranno mai averlo. Funzionano quando funzionano.

Infine una scatola enorme, stracolma di tutte quelle imitazioni che “potrebbero servire, non si sa mai". Questa scatola ha la caratteristica d’essere tanto grande da non entrare in nessuna delle mie tasche, ho così un’ottima ragione per lasciarla a cuor leggero in macchina. 

A pesca – Finalmente, con la nostra selezione completa, si va a pesca. La scelta della mosca si avvicina molto più ad un rito magico che ad una scelta razionale. Il principiante, fresco di corso e pieno di nozioni entomologiche, generalmente si avvicina al fiume intimorito ed angosciato dall’idea della scelta, del resto ci sono in giro tanti modelli di mosche artificiali da convincerne più d’uno a ritornare alla più semplice scelta: ”Innesco un bigattino o due?”. I più determinati, dopo aver trovato un buon posto di pesca, con trote che saltano e bollano su mosche che non assomigliano a nulla di ciò che hanno nella loro scatola, ed aver constatato che ad ogni modo non saprebbero spiegare la differenza tra un’emergente d’effimera ed un sottomarino, scelgono una mosca a caso e la legano al finale. Noi esperti, invece, con anni ed anni di pratica alle spalle, controlliamo attentamente sotto i sassi gli insetti presenti e dopo aver appurato, ad esempio, che le pupe di Serratella ignita sono prossime alla schiusa, ed esserci complimentati con noi stessi pensando che ormai le trote non avranno più scampo, cerchiamo nella scatola una bella Chernobyl e la leghiamo al finale.

Ma torniamo alle mosche. Vi siete mai domandati che fine fanno? Poche sono distrutte dall’uso, le più rimangono appese ai rami od in bocca al pesce. Tempo e soldi sprecati. Per ridurre le rotture del finale rimangono validi i consigli riportati in Fili, nodi & finali Le mosche tra i rami invece sono inevitabili perché spesso proprio osando là dove sembra impossibile si ottengono le migliori catture. Un consiglio: in caso di lancio sulla vegetazione non tentate subito di recuperare la mosca ma lasciate alla corrente il compito di trascinarla dolcemente fuori. In caso negativo spesso può aiutarvi eseguire un rollè che depositi finale e parte della coda oltre l’ostacolo. Una successiva repentina trazione tenderà ad esercitare un movimento in direzione opposta a quella d’aggancio, liberando la mosca. In torrente, dove spesso gli impigli avvengono nei rami spioventi sono solito portarmi il “gancio salvamosche”. E’ un piccolo doppio gancio legato ad un cordino. Appendendolo all’apicale della canna si afferra il ramo incriminato e tirando per il cordino si abbassa quel tanto che basta a prenderlo con le mani e liberare la mosca.

Se perdere mosche in azione di pesca fa parte del gioco, perderle quando non sono appese al filo è da citrulli, ma capita. Può capitare a scatole, una ad una od a schiusa. Una scatola smarrita in riva al fiume vi lascia l’amaro in bocca ma anche una piccola consolazione: il fortunello di turno le potrà utilizzare ringraziandovi mentalmente. Una ad una, se ne vanno dalla pelle di montone. E’ uno stillicidio occulto, di proporzioni immani, avviene minuto dopo minuto, a vostra insaputa, soprattutto se non usate l’ardiglione. Esiste un unico rimedio: compratevi una patch in foam con protezione in PVC. Saranno i 10€ meglio spesi degli ultimi anni.

Una ad una se ne vanno anche con il vento. La mia scatola di mosche secche, poi, credo sia in realtà il mitico forziere di Eolo: basta aprirla per scatenare improvvise ed imprevedibili folate che ne vorrebbero far volare via tutto il contenuto.

Ma la cosa che non vi auguro mai, la cosa più brutta che può capitare alle vostre amatissime mosche, alle quali avete dedicato un intero inverno di costruzione, è la seguente: state pescando in wading, in piena schiusa e state cambiando mosca su mosca alla ricerca di quella giusta quando, sarà la concitazione che sempre ci assale in quei momenti, nell’aprire la scatola colma “delle vostre preferite”, vi scivola dalle mani lasciandole cadere ir-re-cu-pe-ra-bil-men-te in acqua. E’ inutile affannarsi, dopo qualche attimo d’incredulità vi resta solo guardarle scendere la corrente, ormai preda, una dopo l'altra, delle trote entrate finalmente in attività su questa schiusa artificiale. 

            Tarme - I pesci non sono gli unici a “trovarci qualcosa di tanto interessante” nelle nostre mosche, lo fanno anche le tarme, animali, tra l’altro, non accreditati di una strenue difesa e tanto meno di salti spettacolari. Quando iniziate a vedere fibre di hackles o sezioni di piuma sul fondo della vostra scatola è ormai troppo tardi. Potete intervenire mettendo tutte le vostre scatole in freezer un paio di giorni: così facendo si uccidono sia gli adulti che le uova. Potevate prevenire conservando le vostre scatole, nei periodi di inutilizzo, dentro un contenitore chiuso con all’interno una pasticca di canfora.

Potete consolarvi constatando che le vostre amatissime mosche secche, ormai miseramente prive di ali ed hackles, non sono poi male come ninfe. Potevate prevenire costruendo solo formiconi in foam. 

Due mosche – Come già detto, sempre più spesso siamo costretti ad utilizzare microscopiche imitazioni e, peggio ancora, scarsamente galleggianti, quando non addirittura immerse nella pellicola superficiale. Come riuscire a pescare proficuamente non sapendo dov’è posato l’artificiale? Voi non so, io non ci riesco! Come unica soluzione ho adottato il sistema delle due mosche. Vedendo dove si posa quella visibile spesso è possibile individuare anche l’altra o perlomeno si riesce a capire dove e come si sta pescando. Peccato che molti regolamenti non lo permettano così l’unica alternativa che conosco, oltre a quella di rischiare un verbale, è la seguente:

- aggiungo tramite un triplo surgeon (il miglior nodo per unire due pezzi di terminale) altri 40-50 cm di filo. A prescindere da tutte le considerazioni di cui sopra, quando si pesca su pesci difficili allungare ulteriormente il terminale può solo aiutare.

- lego in punta la piccola imitazione necessaria in quel frangente.

- sfrutto i baffi rimasti dal triplo surgeon per collegarci qualcosa di visibile. Si può scegliere tra microscopici strike in foam o in yarn, ma quello che preferisco è una mosca privata di tutta la curva dell’amo. Non che le costruisca apposta, semplicemente, anziché buttarle, conservo a questo scopo tutte quelle che durante la pesca si spuntano o si spezzano.

Il sistema delle due mosche non solo è utile per vedere la più piccola ma ci aiuta ad individuare i micro dragaggi. Osservando il movimento relativo che si genera tra le due imitazioni è incredibile riscontrare quanto raramente e per quanto poco spazio riusciamo ad eseguire passaggi perfetti. C’è un sacco da imparare. 

Le vostre scatole - Ho scrutato, molto più spesso del lecito, dentro le scatole di occasionali compagni di pesca ed ho osservato centinaia di foto su libri e riviste. Con la mente libera da pregiudizi ho analizzato anche le mie creature ed ho notato che tutti, indifferentemente, chi più chi meno, trasferiamo una serie di nostre insicurezze agli artificiali che realizziamo: troppo poco e piccolo nel grande, troppo grande e tanto nel piccolo. Non sto scherzando! Andate subito a prendere le vostre scatole ed apritele tutte, una a fianco all’altra. Osservate il contenuto, sforzandovi di dimenticare sia le catture realizzate sia il tempo impiegato a costruirle. Cercatene i punti deboli.

Nessuno???? Ma come, se li vedo io da qui! 

Eccovene cinque che da soli valgono la lettura dell’articolo:

1)            Le vostre “esilissime” emergenti in CdC in realtà hanno un corpo più grosso e lungo del necessario: provate ad usare molto meno materiale e ricoprite solo poco più della metà del gambo dell’amo.

2)            Le hackles delle effimere sono un po’ troppe ed un po’ troppo lunghe: quelle spalle di gallo acquistate negli ultimi anni, bellissime all’occhio e comodissime al morsetto, hanno fibre più opache e spesse di quelle provenienti dai colli. Non usatele per queste eteree imitazioni.

3)            Anche le sedges sono molto belle, peccato che dopo pochi lanci cambino sport passando inesorabilmente dallo skating al diving. Se le volete far pattinare abbondate nei giri di hackles: quelle spalle di cui sopra sembrano fatte apposta.

4)            La scatola con le mosche da caccia contiene esemplari vergognosamente piccoli: non reggono la schiuma ed il pesce stenta ad individuarli. Anche pescando in riali per trotelle non lesinate sulla taglia: per eccitarle occorre montarle su ami dal 12 al 8. Considerate che il 12 ha lo stesso sex-appeal di una prima di reggiseno.

5)            Sono troppe. Il 50% dei modelli non ha mai toccato l’acqua ed un altro 25% solo molto raramente. Lo so, portarsi appresso 5-600 mosche dà molta sicurezza ma il vantaggio finisce lì. Di contro aumenta l’ingombro e si complica la scelta. Per di più molte sono solo doppioni, quelle che provate quando la vostra “prima scelta” non raccoglie l’approvazione delle trote. Non perdete tempo a cambiare mosche su mosche: di solito c’è molto più margine di miglioramento dal nostro lato della lenza che da quello della mosca!