In  cerca di bollate

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

 

 

 Ultimo giorno quaggiù, condizioni perfette, periodo giusto, eppure…
Finora la pesca non è stata stimolante, è mancato quel modesto ma costante drift d’insetti che da metà pomeriggio tiene fuori dalle tane i rari pesci interessanti e affamati che vivono in questo fiume complicato e sfidante. Mancano le schiuse o i pesci? Questa carenza di
attività sarà dovuta a eccessivo prelievo, inquinamento, cormorani o alla scomparsa sempre più generalizzata degli insetti? Dubbi che mi assalgono ogni qualvolta, approcciando sporadicamente un fiume lontano, il ricordo non collima con la più modesta realtà.

 La nostra tecnica di pesca e gli esseri cui siamo dietro sono indissolubilmente legati agli insetti: senza la loro presenza, in qualsiasi stadio, la fauna ittica non potrebbe prosperare. Con la giustificazione generica che, non essendoci più le schiuse, l’unico modo per catturare sia insidiare i pesci negli strati profondi dell’acqua, i nuovi pescatori si sono armati di canne lunghissime e ninfe pesanti. Possibile che i pesci si nutrano di ninfe sul fondo ma non a pelo d’acqua? Quant’è reale questa percezione e quante possibilità rimangono al nostalgico moschista di pescare in superficie? Vediamole.

Insetti e predatori – Schiuse e insetti sono notevolmente diminuite. Vero, i pescatori con memoria storica, quelli che praticano la pesca a mosca da qualche decennio, concordano su questa affermazione.
Non sarò voce fuori dal coro, confermo, molte cose sono cambiate, ma affermare che la possibilità di usare mosche galleggianti sia diventata sporadica e irrilevante, è comodo e porta a svilire la nostra tecnica di pesca.
Cos’è cambiato? Chimica e uccelli ittiofagi, soprattutto.
L’uomo ha sempre utilizzato prodotti chimici in agricoltura, ma ultimamente le mie api muoiono, le ho dovute trasferire in montagna. Non ho conoscenze specifiche, ma credo di non essere lontano dal vero se affermo che questi moderni antiparassitari siano diventati talmente efficaci e persistenti da far danni consistenti non solo agli insetti cui sono mirati, ma anche a tutto l’ecosistema circostante. Ciò che accade alle api può interessare anche gli insetti acquatici, ma in maniera più subdola: contare cadaveri davanti a un’arnia è molto più immediato che valutare quante mosche non siano mai scese sull’acqua.
L’impatto degli uccelli ittiofagi è noto.
  Gli Aironi hanno una strategia di pesca passiva, si fermano ai bordi dell’acqua aspettando che i piccoli pesci, che trovano rifugio dai predatori acquatici proprio nei bassissimi fondali, arrivino a tiro. Nei loro ambienti d’elezione sarebbero poco impattanti, purtroppo hanno ormai colonizzato anche i più piccoli torrenti di montagna e in ambienti così limitati il loro impatto è devastante.

I cormorani danno il loro meglio in fiumi medio grandi e hanno un duplice effetto negativo: la predazione diretta e l’aumento della diffidenza dei pesci. La diffidenza aumenta sia per esperienza, dopo esser stati inseguiti più volte tendono a rimaner nascosti, sia per selezione, i pesci più propensi a entrare in attività in acque aperte sono i primi a esser predati. L’ipotetico minor impatto di pesca, dovuto a un sempre maggior numero di pescatori sportivi disposti al rilascio del pesce, è fortemente vanificato da questi nuovi predatori che non conoscono limiti di riserva, stagioni e misura minima.
Ma non basta, mentre è innegabile che gli insetti siano in calo e la fauna ittica rarefatta e intimidita, è successo anche altro: è cambiato l’approccio al fiume di molti pescatori.

Com’era - Non è mai esistito un tempo in cui andavi per fiumi ed eri certo ti trovare attività, ma la memoria è ingannevole, conserva i lieti eventi e cancella velocemente i momenti vuoti. A tutti noi è accaduto più volte d’imbatterci in giornate morte. Cercare di capitare nel posto giusto al momento giusto è sempre stata la più grande abilità che doveva possedere il pescatore a mosca. Tentare di migliorare le nostre possibilità di successo significava far tesoro delle esperienze vissute, far delle scelte, spostarsi di centinaia di chilometri, rinunciare alla pausa pranzo, far tardi al fiume. Significava aspettare il momento più propizio per un determinato luogo, concentrare l’azione di pesca negli orari migliori. In termini pratici si traduceva nel limitare la presenza in acqua in un dato fiume a pochi mesi, giorni, orari del giorno e, automaticamente, significava un impatto di pesca modesto. In certi posti la pesca a mosca cominciava a metà Aprile, Maggio, su pesci ancora poco punti e ben disposti a guardare verso la superficie.
Mi spiace puntare nuovamente il dito verso il dilagare della pesca a fondo con canna da mosca ma, in aggiunta ai problemi ambientali, anche questo è un fattore che contribuisce alla minor attività in superficie.
Sembra una contraddizione di termini, provo a spiegarmi. Alcuni pescano a ninfa perché lo ritengono più stimolante, i più ammettono che lo fanno semplicemente per poter pescare tutto il giorno, a prescindere da stagione, posto, colore dell’acqua, e ovviamente perché si cattura di più. Anzi, qualcuno ammette candidamente che in questo modo riesce a essere anche
più efficace di un pescatore al tocco…

Qual è la situazione alimentare più proficua per il pesce? La schiusa, il momento in cui con il minimo sforzo riesce a catturare facilmente insetti impossibilitati a sfuggirgli, ma è anche la più rischiosa perché dovendo posizionarsi a mezz’acqua si espone ai predatori. E’ evidente che cominciare a catturare i pochi pesci rimasti nelle nostre acque già dai primi mesi dell’anno contribuirà, col progredire della stagione, a renderli sempre più diffidenti. Pensate veramente che quegli stessi pesci, strapunti nei mesi precedenti, insidiati e forati tutta la mattina con delle ninfe, arrivino alla possibile schiusa pomeridiana con la voglia di salire a galla e bollare? Temo solo pochi.

“Un pesce è sempre un pesce” ma tra prenderlo a ninfa o su bollata per me passa la stessa differenza che c’è tra un gol su rigore e uno su azione. Sono poche le catture che meritano di essere fatte, ed è facile riconoscerle, perché sono come quelle risate che quando esauriscono la loro energia lasciano qualcosa dietro di sé: gratitudine!

E’ comodo andar per fiumi senza doversi preoccupare di posti, stagioni, orari, ma qualora la pesca a mosca diventasse un’attività praticabile in qualsiasi condizione, perderebbe molto della sua tipicità. Per me sarebbe come tornare alla pesca a passata: non importava il giorno o l’ora, trovavo sempre qualcosa da catturare. Del resto, come fanno notare molti pescatori a ninfa, il pesce si ciba prevalentemente sott’acqua, vero, ed è il motivo per cui la pesca a fondo ha anticipato di qualche millennio la pesca a galla. E’ solo con la pesca a mosca che ho imparato a guardare con attenzione l’acqua e tutto ciò che la circondava: volevo capire di più, non c’è vera pesca a mosca senza un’attenta osservazione.

Qualche schiusa, qualche bollata, qualche pesce isolato che entra in attività, sono eventi tuttora abbastanza probabili da giustificare il trafficare con canne, piume e code. Ovviamente bisogna esserci quando serve, muoversi lungo il fiume, attendere, scrutare. Anche il posto giusto potrebbe non bastare: limitarsi a guardare tutto il giorno la punta della canna o il filo colorato che scende in acqua, porterà sicuramente a perdere tante ottime occasioni d’insidiare pesci in attività. Mi rendo conto di essere noioso e mi ripeto volutamente, ma con l’evoluzione (?) della nostra tecnica abbiamo perso una delle nostre peculiarità: il basso impatto in pesca, che la faceva annoverare come tecnica d’elezione per pesci pregiati e delicati come i salmonidi, trasmetteva un’immagine del pescatore a mosca come un meditativo, un sognatore che faceva poco danno, e giustificava anche l’esistenza di zone di pesca dedicate.

Più giorni e ore di pesca, con una tecnica che copre tutti gli strati dell’acqua, in tutte le stagioni e condizioni, significa inevitabilmente catturare molto di più. Significa, a tutti gli effetti, ricollocarci tra i pescatori generici. Possiamo giustificarci che usiamo ami senza ardiglione o una rete idonea, ma la mortalità all’amo persiste ed è molto legata al numero di catture.

Calendario – A volte diamo per scontate cose che non lo sono, ciascuno di noi ha i suoi posti preferiti, ma potrebbe tornar utile ribadire qualche concetto. Per farlo provo a condividere con voi un possibile calendario annuale all’inseguimento delle schiuse, i fiumi che cito sono solo indicativi, sono, tra quelli più noti, quelli che anch’io conosco.

Le schiuse, è un dato di fatto, cominciano da valle verso monte e poi, con il progredire della stagione, da mezzogiorno verso sera.

Da metà marzo a metà aprile è il momento ideale per dedicarsi ai fiumi del piano. Sono quelli che si scaldano prima e non risentono ancora del disgelo. Non fate una levataccia, nei fiumi classici, Adige, Piave, le schiuse cominciano dalle 12 alle 14. Aspettatevi delle Rhithrogena (amo 12) o delle Baetis (amo 14-16). In aprile rimanete fino a sera, potrebbe ricominciare un po’ di attività.

La prima metà di aprile è il momento magico per le risorgive di pianura, quelle con acqua non troppo fredda.

In posti come il Fibbio o il Varmo, una schiusa a centro giornata di BWO (Serratela ignita amo 16-18), è quasi una certezza, per poi sperare in una più sporadica attività di superficie nel tardo pomeriggio. Appena il sole scende dietro gli alberi potete riporre la canna.

Da metà aprile a fine maggio è il momento d’elezione del pescatore a mosca, La primavera porta con sé la rinascita della natura, delle speranze e in me genera un’ineluttabile attrazione per l’acqua: è più difficile rimanere a casa che sbagliar posto!

Nei fiumi del piano le schiuse diurne possono essere limitate a giorni grigi e umidi, ma diventano una certezza verso sera. Però aspettatevi di tutto, presenze sporadiche di tricotteri, plecotteri e i primi terrestrial possono focalizzare l’attenzione del pesce verso la superficie per gran parte del giorno. Ora più che mai paga scrutare con attenzione e convinzione l’acqua in cerca di bollate, a volte i pesci entrano in attività singolarmente o solo in punti specifici.

E’ anche il momento d’oro per le grandi risorgive. L’Unec è già in piena forma dai primi di maggio, mentre per l’acqua più fredda del Gacka è preferibile attendere qualche settimana: le schiuse diurne di sedge e le prime mosche di maggio arrivano a fine mese.

E’ giugno, si parte! La prima quindicina del mese è il momento perfetto per lanciarsi in qualche avventura in acque sconosciute e un po’ fuori mano. Le acque di neve si sono esaurite quasi ovunque, i livelli e le meteo sono più stabili e prevedibili, quindi il rischio di perder giorni di pesca per pioggia o brutto tempo diminuisce. Per anni ho scelto proprio questo periodo per scorazzare lungo i fiumi del sud, da entrambi i lati dell’Adriatico. Le ultime schiuse di grandi perle e le prime di mosche di maggio, nei fiumi bosniaci che frequentavo, Pliva, Ribnik, Sanica, Una, Unac, Klokot avvenivano proprio tra l’ultima settimana di maggio e la prima di giugno. Pescare posti nuovi in questo momento è più facile, spesso riesci a capirne le potenzialità, a non scoraggiarti. Le giornate sono molto lunghe, c’è quindi tempo per spostarsi, esplorare, curiosare, per perdere tempo. Gli insetti sono nell’acqua, nell’aria, sulla vegetazione; i pesci sono attenti a tutto ciò che passa.

I posti nuovi però, prima è bello desiderarli. Che noia andarci senza aver fantasticato, sognato su di loro, senza averli caricati di aspettative, di possibilità. Anche se poi, mi serve sempre qualche ora di pesca demotivante prima di riuscire a riallineare sogni e realtà, per cominciare a desiderare quello che realmente offrono.

Da metà giugno, con l’inizio dell’estate, pescare proficuamente può significare dover salire di quota, dedicarsi a torrentoni ombrosi o limitarsi ai margini del giorno. E’ un ottimo periodo per chi ha il fiume sottocasa, può godersi il momento migliore, il coup du soir, senza la noia di un lungo giorno da passare, mentre per il pescatore itinerante non si fa mai sera. Frequentare risorgive o fiumi del piano nel periodo estivo può essere un’esperienza frustante. Sole e caldo sono impietosi, le bollate diventano un miraggio, ma il problema non sono pesci e insetti: è un errore di timing. Ci sono eccezioni, ad esempio sempre il Gacka, proprio in agosto, è noto per le sue schiuse di Baetis, più massicce e di taglia maggiore di quelle primaverili, e poca concorrenza.

Estate per me significa Appennino. Significa silenzio, solitudine, lunghe camminate nel fresco del bosco e qualche trotella sempre disposta a salire.

Sono posti che conosco bene, ma ogni volta mi appaiono differenti. Variazioni, dovute ai diversi stati d’animo con cui li affronto, che svelano sempre nuove meraviglie. Ammetto che non è la quintessenza della pesca a mosca, è tutto facile. L’intelligenza giudica poco interessante una cattura quando è quasi una certezza, ma la volontà, che mi conosce, mi sprona, sa che rinunciando poi la desidererò. Sono proprio la volontà e il ricordo della bellezza che mi fanno mettere la canna in macchina e partire.

  

Già, la bellezza, e la possibilità di trovarla dove non immagino, nei sassi muschiosi, nelle sfumature delle foglie, nelle forme dell’acqua, la possibilità di trovarla nelle cose più comuni, nella vita intensa delle cose che sembran senza vita. L’impatto è minimo, usando grosse mosche in foam, ferrando morbidamente e rilasciando tensione alla lenza riesco a censire le trote del posto senza toccarne quasi nessuna, mentre non mi preclude la possibilità di portare a tiro di foto la rara trota interessante che voglio ricordare.

A settembre ricomincia tutto daccapo, più il mese avanza più le zone interessanti per la pesca si abbassano, ma continuano a essere produttive anche quelle superiori. E’ un periodo senza limiti, si può spaziare. Era il mio momento preferito per trascorrere qualche giorno in Friuli. La varietà delle sue acque, la contiguità di ambienti differenti e il regolamento unico mi permettevano di passare nello stesso giorno da impervi torrenti carnici, a coup du soir in risorgiva, dalla ricerca di temoli in luminosissimi torrenti di fondovalle, a serate in acque del piano in attesa di bollate. A settembre si pesca tutto il giorno, anzi, le giornate finiscono sempre troppo presto!

In realtà, dopo anni d’assenza quest’anno ci sono tornato. Sarebbe bastato lo stupore negli occhi del mio compagno di pesca alla vista di certi colori per giustificare la gita. Risalendo un torrente il pescatore vede tante singolarità che il profano confonde. La passione aiuta a discernere, differenziare, e lui è giovane, ha entusiasmo e lo spirito giusto. L’acqua immateriale prende vita da sprazzi di luce che la pervadono d’irreali striature, e solo nei punti profondi acquista spessore: sembra una fredda granita alla menta. L’amico vi s’immerge con quella convinzione entusiastica che da fascino alle cose semplici. A ogni pozza esclama meraviglia!

  

Lo seguo più lentamente. Il ritorno in posti che per anni ho solo sognato, avviene per sottrazione. Devo prima togliere le parti solo immaginate, desiderate. I ricordi onirici devono spogliarsi del mito e essere sostituiti gradualmente dalla lineare realtà. Sono smemorato di natura, dimentico gli occhiali sul naso, ma i ricordi di posti pescati e poi sognati sono diventati tanto inossidabili che ora basta poco, qualche dettaglio, per farmi tornar in mente tutte le prossime curve del torrente… 

Tante cose in Friuli sono cambiate, ma lo spirito del luogo e le giornate di pesca sono come le ricordavo. Mi sveglio con un senso di libertà, posso andare dove mi porta la voglia del momento; posso sbagliar posto, non c’è il gestore della riserva a istruirmi, posso sbagliar strada, non c’è la mappa allegata al permesso, posso diventar più saggio, perché sì, la saggezza non si riceve, bisogna scoprirla da sé, è un tragitto di errori che dobbiamo far da soli. Errori che non vanno rinnegati, perché sono la prova di aver realmente vissuto.

Sono giornate impegnative, ma alla fine, se sai dove cercare, puoi trovare completa solitudine e qualche pesce che materializzandosi tra i riflessi salga sulla tua mosca.

Se a settembre la voglia di temoli s’è fatta sentire, a ottobre diventa desiderio impellente. Con molte acque nostrane chiuse alla pesca e temoli ormai svaniti, diventa quasi necessario ripiegare oltreconfine. Austria e Slovenia sono care, ma offrono ancora qualche possibilità. Ottobre era il mese migliore per insidiarli nelle meravigliose piane del Soca, ora non è più il caso. L’Unec non avrà gli insetti di maggio, ma ha i colori e la giusta tranquillità per perdersi tra i suoi prati in cerca di bollate.

Sì, lo so, far chilometri o attendere il momento propizio nel tentativo di trovare pesci in attività di superficie è limitante e dispendioso. Molti di noi abbracciando questa tecnica di pesca ne hanno accettato i limiti, anzi, ne hanno fatto parte del gioco. Lunghi spostamenti, attese, chilometri inciampando tra sassi e radici, sono giustificati non dalla cattura in sé, ma dalla soddisfazione di aver fatto tutto bene, che, se oggi è più complicato, è sicuramente maggiore!

 

Ultimo giorno quaggiù. Sembra tutto come ieri, eppure… nell’aria percepisco qualcosa d’indefinito che mi stimola, mi elettrizza. Dopo troppi anni passati a inseguire schiuse e bollate probabilmente qualcosa 
d’istintivo si è catalizzato in me, un’empatia sottocutanea che manda segnali vaghi ma percepibili. Il mio compagno di pesca ha gettato la spugna, mi comunica che farà sera in un posto comodo. Peccato, questo pizzicore che scende lungo la schiena promette qualcosa di buono, mi dice che sono nel posto giusto al momento giusto. E’ tardo pomeriggio, le giornate sono lunghe, la luce è ancora perfetta. Mi avvicino alla riva alta e scoscesa. Aspetto, osservo. Eccolo, un pesce, poi un altro. Due trote interessanti sono già in attività. Scendo più a valle, sfido l’intrico di vegetazione e trovo un modo per raggiungere l’acqua, mi avvicino con la massima cautela, come un gatto. Le spavento entrambe, sono un gatto cresciuto a croccantini.

Non importa, ora ho la certezza che sarà una buona giornata. Risalgo lentamente verso posti che conosco. Esco a buio con l’adrenalina in circolo e la voglia di tornare.
Saranno le tre ore di pesca più interessanti di tutta la stagione.

Quelle per cui vale la pena pescare a mosca.