In Viaggio
Marco
Sportelli
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Piove -
Alzo lo sguardo, nuvole scure velano il cielo, l’acqua in
minuscole gocce torna alla terra. Vedo le cose e ne percepisco l’odore:
l’erba bagnata, i fiori in giardino, il fiume dietro casa. In strada,
tra auto e marciapiedi, stento a riconoscerla, ora è pozzanghera che
riflette grigio di città e squarci di cielo. Eppure son sempre alla sua
ricerca, l’acqua mi ossessiona, la inseguo e la scruto da quando ero
bambino. Acqua nuova in posti nuovi. Acqua sempre uguale
eppure differente: fredda e pura di sorgente, calma e placida di lago,
schiumosa di torrente, calda e immateriale tra coralli e mangrovie;
azzurra di calcare, verde di palude, bianca di neve, blu di mare, grigia
dopo un temporale; morbida nelle sfumature della sera, densa come vetro
nel freddo dell’inverno; tavolozza di pittore in autunno, carica di
caldi colori che penetrano nel fluido e lentamente, malinconicamente,
anche nel nostro cuore.
Acqua frusciante di risorgiva, sussurrante di
fiume, scrosciante di torrente, acqua immota e silenziosa. La necessità e la voglia di scoprirla nelle sue
mille forme spinge a viaggiare. A volte basta poco. Da fanciullo il
ponte vicino a casa era le mie colonne d’Ercole, con i sandalini di
plastica risalire oltre, fuori vista di mia madre, era già un mondo
nuovo, un’avventura. Poi sempre più lontano, in bici fino al fiume, in
motorino alla valle successiva, l’auto e le gite fuori porta. A volte basta ancora meno, basta guardare i vecchi
posti con occhi nuovi. Cominciando a pescare a mosca cambiano i pesci,
le stagioni, cambiano i dettagli su cui soffermarsi. Si ricomincia tutto
daccapo, ma anche così, piano piano gli occhi si abituano, la ricerca
del nuovo continua e viaggiare ritorna un esigenza. Anno dopo anno gli
orizzonti si allargano ma anche i posti dove risiedono i nostri sogni
gradualmente s’allontanano: sono sempre un passo oltre il già visto. Quando ero giovane tutto mi entusiasmava, per volare bastava poco, poi ho imparato che inevitabilmente la vita in un modo o nell’altro ti strappa le ali e ora, dopo anni in riva al fiume, mi rendo conto che per volare serve veramente l’aereo. SS 309 –
Lenta, trafficata, pericolosa, ogni qualche chilometro c’è un punto
della mia patente, ma quando la imbocco mi s’illumina il viso. Significa
“Nord”: Veneto, Friuli e poi Ex-Ju, e per estensione pesca. Muoversi in
auto è noioso ma fa parte dell’esperienza, lentamente cambiano le case,
il paesaggio, compaiono i profili delle montagne, i fiumi diventano più
limpidi e freddi ma il cuore si scalda e si carica di speranza.
A volte si va verso un fiume, altre volte verso un
posto, e la differenza è sostanziale. Certi fiumi li ho sognati e ci son
tornato così spesso che per lunghi periodi della mia vita mi son
sembrati un po’ roba mia. Sono “le mie acque”, quelle che ho frequentato
con costanza e che chiamo casa. Sono acque di cui penso di conoscere
qualcosa che altri non sanno, acque che curo, di cui mi preoccupo. Può
essere il lago vicino all’ufficio, il torrentello che risalgo in cerca
di nuovi nati, ma anche il fiume a centinaia di chilometri di distanza
che anno dopo anno mi dà un buon motivo per tornare. Si torna per la
dolcezza del ricordo, per rivivere lo stupore e la magia della prima
volta, per quella conoscenza che vogliamo mettere a frutto, o per quel
mistero, quel qualcosa di non svelato che dobbiamo ancora imparare; per
i pesci presi, persi, visti o solo immaginati. Certi fiumi contengono
solo acqua, prede e predatori, in altri c’è anche un po’ di noi. A volte ci si dirige più ampiamente verso un posto,
che sia la Carnia o il Sud Jugoslavo la meta e la mente rimangono aperte
e io, con la tenda nel baule, un fornello da campeggio, qualche mappa
dettagliata e due o tre contatti locali, mi sento un essere finalmente
libero di seguire il vento. Sono viaggi di scoperta dove alla sicurezza
del noto si sostituisce la meraviglia del nuovo. Se viaggio verso un
fiume specifico nella mia mente si materializzano ricordi, se viaggio
verso un posto ho in testa un misto d’eccitazione e d’incertezza,
difatti quasi mai fila tutto liscio, è sempre un’avventura, ma va bene,
spesso meglio dell’arrivare è preferibile un viaggio carico d’illusioni.
A volte, poi, all’arrivo ci attende qualcosa di completamente diverso da
quello che ci aspettiamo. Confine Bosniaco – Il paesaggio è allo stesso tempo straordinario e inquietante. Siamo al centro di un’ampia piana carsica, a perdita d’occhio solo pecore ed erba. In lontananza, ai piedi delle basse colline, emergono i resti diroccati di qualche villaggio, il confine troppo vicino ne ha segnato il destino. L’acqua sgorga da profonde sorgenti sotterranee, si unisce in due rami e forma un quieto chalk stream. Tra i due bracci un’ampia zona mai bonificata è delimitata da picchetti colorati, l’erba ci cresce rigogliosa ma i pastori coi loro greggi la evitano scrupolosamente, e noi facciamo altrettanto. Questo posto, pur segnato dalle recenti vicissitudini, conserva un fascino particolare, qualcosa di mistico che, osservando le antiche vestigia di questa chiesa campestre, risale molto indietro nel tempo. Un’oasi bucolica, isolata, emozionante.
In un leggero rialzo del terreno prosperano degli enormi pioppi: il posto giusto dove montar la tenda.
Un cane dalla testa enorme si avvicina: siamo nel suo territorio ma con qualche fetta di salame, e un po’ di grappa al padrone diventiamo subito parte del gregge.
La pesca di solito è buona, tanti insetti, nessun pescatore, qualche grossa trota di dubbia origine e, solo verso sera, pesci selvatici finemente punteggiati che escono da sotto le rive erbose ad aggredire grossi terrestrial.
A metà pomeriggio si materializza un locale, tenta
di spiegarci in nessuna lingua che non serve la tenda: ci porterà a
dormire su un’isola! “Un’isola!?
Così lontano dal mare!?” Il timore per lo sguardo un po’ truce
bilancia appena la nostra curiosità, poi un breve acquazzone infradicia
il prato fiorito e fa pendere l’ago verso la sua proposta. Accettiamo:
“Torna a buio, pescheremo fino a tardi!”
E a sera ritorna, con una canna da spinning cestina
due grossi pesci e c’intima di seguirlo. Procediamo in stretti stradelli
in un bosco sempre più fitto fino a quando improvvisamente, davanti ai
finali, qualcosa risplende. Dall’acqua immota spuntano alberi
semisommersi, una fitta nebbia galleggia sul fluido e in cielo una
pallida luna illumina appena la scena. Da sotto le frasche recupera una
barca a motore, saliamo e c’inoltriamo nel tetro bosco allagato. La
scena l’ho già vista, in qualche pessimo B-movie. Ecco la casupola, il bracconiere estrae le trote
dal cesto, le condisce e le mette sul fuoco. Una bottiglia di birra e la
cena è servita. Esco fuori, l’isola è piccolissima e coperta di
vegetazione, tutt’attorno buio totale, silenzio assoluto e nebbia che
sale dall’acqua. Il déjà-vu
continua. Il tipo con la cicatrice in volto e la mimetica mi fa capire
che se abbiamo paura rimane a farci compagnia. Paura sì, ma di lui:
“Torna domani alle sette. Ti aspettiamo!”
Mi sveglio presto e mi guardo attorno, il lago è veramente grande, molto frastagliato e bordato di vegetazione.
Siamo prigionieri in questa microscopica parte di
mondo mentre lui, ora, starà già scambiando la nostra macchina e
l’attrezzatura da pesca per qualche cassa di birra: non ci troveranno
mai più. Mentre rimugino su questo, nella quiete del mattino mi giunge
in lontananza, puntualissimo, il rumore di un due tempi…
Per soli 20€ ci portiamo a casa qualcosa da
raccontare. Check list
– Sono sbadato e odio partire da casa con addosso quell’antipatica
sensazione di aver dimenticato qualcosa. La odio perché invariabilmente
si dimostra vera, ma il tarlo che mi rode prende finalmente forma
d’oggetto sempre e solo quando sono ormai troppo lontano da casa. A
volte sono cose minime, a volte così fondamentali da complicarmi la
giornata. Ho dimenticato scarponi, mulinelli e una volta tutta la borsa
da pesca. Se il problema è marginale per uscite dietro casa, per gite di
più giorni in luoghi lontani può essere spiacevole. Odio anche preparare
l’attrezzatura all’ultimo minuto perché l’eccitazione della partenza mi
lascia poi a rigirarmi nel letto tutta la notte: avrò preso le cose
giuste? Sarà freddo, caldo? Servirà una canna da torrente, la coda WF? Ho provato a mitigare queste mie angosce compilando
una check list. E’ facile, a mente fredda si prepara l’elenco di quello
che potrebbe servire, si toglie tutto l’inutile (portiamo sempre troppa
roba), e mano a mano che prepariamo i bagagli si depenna. Il vantaggio
fondamentale è quello di riuscire a individuare tutto per tempo ma poter
utilizzare la nostra attrezzatura fino all’ultimo momento: è tutto nella
lista ma solo le cose depennate nella borsa. La nostra canna preferita,
gli occhiali, la macchina fotografica, possiamo usarli anche il giorno
precedente e poi, spulciando la lista, ricordarci senza meno di metterli
in valigia. Portare solo l’indispensabile non solo alleggerisce il
bagaglio e fa perdere meno tempo alla ricerca di qualcosa, ma è anche
saggio. A quanti è capitato di tornare a sera e trovare l’auto aperta?
Farsi sottrarre una canna e un mulinello dozzinale dispiace ma è
accettabile, lasciare in auto un fascio di canne e mulinelli costosi non
è il caso. In uscite di gruppo, poi, accordatevi per portare solo una
scorta per tutti: è più che sufficiente.
In Canada gli spazi sono sconfinati e la natura è maestosa ma sposandosi in auto o in barca non è facile percepire questo senso di vastità e solitudine: i punti di transito e gli accessi definiti concentrano gli esseri umani in poche zone limitate riuscendo, anche in territori scarsamente abitati, a dare un senso d’affollamento.
Da quassù, invece, la realtà riprende il
sopravvento, in pochi minuti spariscono case, strade e lentamente si
diradano e poi scompaiono anche le minime tracce dell’esistenza
dell’uomo. Rimane solo uno spettacolo cui non sono abituato: chilometri
e chilometri di natura incontaminata, alberi a cui si susseguono alberi,
e poi monti ancora coperti di neve, vallate verdissime e acqua. Acqua
bianca che incide versanti granitici, acqua stagnante tra placidi boschi
e, finalmente, acqua promettente, acqua in forma di un fiume che porta
il suo richiamo fino al mare. Il viaggio prosegue sempre più a nord. Risaliamo verso le sorgenti come salmoni in cerca della loro origine. Basso sull’acqua, evitando rapide troppo rapide e morte troppo morte, ci depone, risalendo a grandi balzi, su tutte le pool che ritiene interessanti. Il contesto grandioso mi ripaga dell’azione di pesca noiosa e ripetitiva.
Gli inquietanti rumori del bosco mi rimandano molto indietro nel tempo, mi riportano alla mia modesta dimensione umana. Quel senso di sicurezza e onnipotenza che viviamo giornalmente in un mondo che ci siamo creati su misura lascia spazio a incertezze ataviche e paure inconsce. Sono un solitario, amo pescar solo e distanziarmi dagli altri ma qui, come ha fatto l’uomo per millenni, cerco istintivamente la compagnia dei miei simili, la protezione del branco.
I fiumi sono tumultuosi, il sottobosco fitto e
spinoso è infido e impraticabile, la prima strada a decine di chilometri
di distanza. Guardo con occhi nuovi questa piccola scatoletta con le
pale, è in effetti l’unico legame tra noi e la civiltà.
La giuda
– Andando lontano molto spesso significa appoggiarsi a una guida di
pesca. Ci sono professionisti, grandi pescatori, grandi affabulatori, ma
ci sono anche semplici autisti, conduttori di barche, o tipi
improvvisati. Per molti non è un mestiere, il periodo propizio di solito
è breve ed è quindi un’attività marginale, stagionale.
La dote principale di una buona guida è l’empatia,
il riuscire a capire il non detto, percepire l’abilità del cliente e le
sue aspettative. Non è facile, in molte parti del mondo una guida è una
necessità inderogabile, in altre una semplice abitudine o più
semplicemente un modo per sfruttare appieno il poco tempo disponibile.
Una guida si trova a interagire con pescatori esperti che han bisogno
solo del mezzo e dell’accesso, ma anche con principianti assoluti
convinti che basti pagare per prendere pesce.
La dote immediatamente successiva è la capacità
d’osservazione. La vista è sicuramente il senso più importante di un
pescatore. La curiosità di vedere e di capire è ciò che mi ha spinto più
di ogni altra cosa lungo i fiumi. Fin da piccolo perdevo ore nelle pozze
sotto casa cercando d’individuare i pesci, ma cercavo anche tutti gli
esseri secondari, le bisce dal collare che scivolavano sull’acqua, i
girini, ogni giorno più simili a rane, gli insetti che perivano
nell’acqua e quelli che d’acqua ci vivevano; le decine di esseri, ancora
a me sconosciuti, che popolavano la faccia sommersa dei sassi. Guardando uno scorcio di fiume non tutti riescono a
vedere le stesse cose. Qualcuno si ferma al riflesso, qualcuno lo
penetra e intuisce le strutture del fondo, le linee di flusso, le
postazioni di caccia, quelle di riposo. Percepisce tracce di vita
acquatica, insetti in volo, spoglie ninfali sui sassi, percepisce se il
livello è giusto, se il pesce è propenso o meno a cibarsi.
Guardandolo tutti i giorni, come capita a chi lo fa
di mestiere e il pesce lo deve trovare per contratto, s’impara una
lingua fatta di stagioni, temperature, colori, sensazioni affinate negli
anni. Qualcuno queste doti le sviluppa nel tempo ma i migliori le hanno
impresse nel DNA. Ogni grande pescatore, e per estensione ogni buona
guida di pesca, prima di tutto è un grande osservatore. Stupore
- Appoggiarsi a una guida e quindi a un’organizzazione ha un altro
vantaggio: ci si può permettere di arrivare ignari e impreparati, con la
mente come un foglio bianco ancora tutto da disegnare. Una delle cose più piacevoli per riempire le lunghe
sere invernali è pianificare i viaggi di pesca. Cercare contatti,
consultare mappe, valutare tempi, distanze e prezzi, cercare
d’individuare il periodo migliore è stimolante, riempie la testa, ma c’è
un ma. Oggi purtroppo si trova troppo, un eccesso d’informazione e
soprattutto tante foto e filmati. Le foto ti danno un’idea precisa del
posto ma lasciano ancora spazio all’immaginazione, rielaborare le
immagini è una cosa personale e ciascuno lo fa in maniera differente, da
quell’immagine toglie o esalta solo alcuni particolari. Una foto è
opinabile, un filmato no, mostra il reale, dove il reale è però
inevitabilmente un falso. I filmati di pesca sono infimi, sono dei falsi
per sottrazione. Quello che vedi è assolutamente vero, ma manca tutto il
resto: le giornate di brutto tempo, le ore senza bollate, i livelli non
idonei, le lunghe attese, le centinaia di lanci a vuoto. I tempi di un
video, dove in pochi minuti si concentrano le immagini di una stagione
di pesca, possono dare un’idea estremamente falsata di ciò che ci
aspetta. Spesso si parte verso una destinazione avendo già
visto come e dove pescheremo, e quando siamo realmente sul posto, ci
perseguita un senso di “già visto”, è come sapere in anticipo cosa c’è
nel pacco sotto l’Albero a Natale. Ci perseguitano le aspettative
eccessive, irrealizzabili, falsate dalle numerose catture viste in rete.
E maggiori sono le aspettative più facile è tornare delusi. Se devo pianificare l’itinerario, l’informazione e
quindi l’apertura del pacco diventa inevitabile, ma se mi appoggio a
un’organizzazione di pesca voglio rimanere nella più completa ignoranza.
Farmi stupire giunto là, farmi spiegare come, dove e quando pescare.
Farmi sorprendere dai luoghi, dalla pesca e dai pesci. Sgranare gli
occhi come un bambino. Cuba – In lunghi periodi della mia vita la passione per la pesca ha preso il sopravvento su di me, ha dettato tempi, modificato piani, influito sulle scelte familiari. Mi ha tiranneggiato. Di pesca ho letto, scritto, fatto foto. La pesca è stata un modo per incontrare persone, frequentare amici, per conoscere posti, viaggiare. In realtà ciò che si vede in un viaggio di pesca è molto dettagliato ma molto limitato. Quasi sempre è legato solo all’acqua e ai pesci. Se osserviamo lo sguardo sconcertato del nostro
casuale interlocutore mentre gli raccontiamo che abbiamo attraversato
l’oceano solo per un fiume, un bosco, un imbarcadero… difficilmente lo
rifaremo: certe esperienze meglio condividerle solo coi nostri simili.
Ora questa frenesia mi perseguita un po’ meno, mi prendo più tempo per
respirare, per curiosare, per parlare con le persone. Non ho più la
necessità di pescare tutto il giorno e neanche tutti i giorni, e nemmeno
di catturare tutti i pesci del fiume. O forse ho semplicemente un po’
più tempo.
Sono stato a pesca ai tropici un’unica volta.
Viaggiando solo e potendo decidere mi sono tenuto qualche giorno per me.
La vita del turista-pescatore è infame. Ben presto, malgrado i buoni
propositi l’indole del predatore rischia di riprendere il sopravvento su
di noi, di accecarci, rendendo marginali la meraviglia e l’armonia delle
cose, di non farci apprezzare i luoghi, il cibo, la gente e la loro
cultura.
Ben presto ci troviamo a fremere d’impazienza, a
vagare come zombi con la mente già rivolta alla meta di pesca. Questa
urgenza può essere dovuta alla sensazione di non andar mai abbastanza a
pesca e quindi di dover sfruttare appieno il tempo disponibile, ma ho
amici che ci vanno molto più spesso e non cambia molto. Anche loro
vedono solo acqua e pesci, l’unica differenza è che hanno qualche ruga
in più e sono molto più abbronzati! Qui è stato più facile, le date erano obbligate, le tappe definite a priori. L’ultima, quella che mi avrebbe portato alla zona di pesca, prevedeva di attraversare l’isola, in parte in corriera e il rimanente in auto, e la qualità di quelle cubane è nota.
Scendendo dall’autobus fatico a trovare un temerario disposto ad accompagnarmi sull’altra costa. Prima di partire ci fermiamo a travasare benzina da un camion agricolo e facciamo scorta d’acqua.
Le strade, lontano dai flussi turistici, sono in
gran parte sterrate, intensamente coltivate a sassi e buche, e al posto
dei cartelli qualcuno a cui chiedere. I paesini sono piccoli e
distanziati tra loro, il poco traffico non è a motore, le case sono
misere e umide. Stiamo attraversando l’ascella sudata dell’isola e ora
mi rendo conto che rimanere a piedi significherebbe perdere almeno un
giorno di pesca. Il posto che cerchiamo nessuno lo conosce, poi, ecco
una reminiscenza di capitalismo coloniale: un bel parco e una casa
padronale, una costruzione così fuori luogo da sembrare una scenografia
in cartapesta. Siamo arrivati!
Cuba è piena di queste contraddizioni e in ciò risiede il suo fascino particolare, è un po’ come la pesca nelle flat: certi pesci sono difficili ed elusivi, altri ti si concedono spudoratamente. Se capiti nel momento giusto in un canale d’ingresso puoi vedere continuamente pesci in rimonta.
Ti vengono incontro da soli o a gruppetti, si
stagliano nettamente contro il fondale chiaro e scartano di lato per
intercettare la tua mosca. Sembrano pesci affamati e poco selettivi, gli
manca quell'occhio critico senza il quale fregarli diventa un gioco da
bambini; in realtà non tutti sono così, ma con l'abbondanza che c'è chi
ha voglia di ripetere un lancio o cambiare artificiale quando subito
dietro ce ne sono altri in arrivo?
In altri momenti ti lasciano vagare inutilmente con
lo sguardo, e il riflesso sull’acqua ti acceca, nasconde quello che c’è
sotto. Qua nulla è come sembra. Miraggio, realtà e possibilità si
confondono.
La gola – A volte si viaggia verso posti irraggiungibili anche senza
andar lontano. Sono luoghi marginali, dimenticati dall’uomo perché
ostici, impervi. Posti rimasti come Dio li ha creati, posti dove
probabilmente nessuno ha mai pescato. E non c’è nulla di più intrigante
della ricerca di acque vergini! Le Prealpi Carniche sono una delle zone
meno antropizzate d’Italia e nello stretto solco che questo torrente ha
creato tra le dolomie fratturate l’uomo non ha mai trovato lo spazio
minimo per sopravvivere, così non ci ha mai costruito strade, case e
neppure sentieri: lo ha semplicemente evitato. Eppure, analizzando mappe
escursionistiche e curve di livello, il tratto finale sembrerebbe avere
un gradiente così modesto da poterlo risalire.
Ci sono stato, solo con la canna da pesca, e ho
scoperto che non è possibile: il torrente confluisce nel grande fiume
con un ampio meandro ma subito a monte s’incanala in un lungo, contorto
budello stretto tra ripide pareti verticali. L’acqua è profondissima ma
con i modesti flussi estivi scorre placida e lenta. Per risalire oltre
servirebbe un piccolo natante, leggero, trasportabile, magari
gonfiabile… Serve un’idea, e un amico. Pensare di raggiungerlo portandosi appresso tutto
il necessario, scarpinando tra ghiaioni e sole estivo, richiede molto
sudore e tutta la mia assenza di buonsenso, ma chi dice che diventando
grandi si diventa anche saggi? Ma poi, appena imboccato il laterale e
trovato il posto giusto per campeggiare mi s’illumina il viso: siamo in
un posto isolato, lontano da case e strade, acqua da bere fluisce
davanti alla tenda e l’amico sta gonfiando l’idea!
Bene, alla fine la gola l’abbiamo superata, ma se certi posti sono stati
dimenticati dall’uomo… beh, di solito c’è un motivo! Lapland - Cercando di fare quello che vorremmo difficilmente riusciamo a sfuggire a quello che siamo. Ciascuno di noi persegue nella pesca a mosca qualcosa di differente, dipende dall’imprinting. Chi ha catturato le prime trote al tocco continuerà a ricercare le stesse sensazioni nella pesca a ninfa; chi proviene dallo spinning preferirà pescare a streamer e dedicarsi ai grandi predatori; chi nasce garista non potrà far a meno di contar pesci e competere con tutti. Io pescavo pescetti a passata con un coloratissimo galleggiantino e la cattura era ed è tuttora qualcosa di fortemente visivo. Sono rimasto così, molto limitato, e allontanandomi dai miei soliti posti, posti di cui ho imparato a conoscere i ritmi, capita spesso sia costretto a pescare l’acqua. Non mi piace, mi annoia, quindi la riuscita di una gita di pesca è spesso funzione di quanto siano disposti i pesci a salire in superficie. Le acque torbose del nord del mondo mi avevano tenuto a lungo lontano da queste destinazioni. In effetti sono paesaggi monotoni e ripetitivi dove però prevale acqua, bosco e ampi spazi disabitati. Posti dove puoi veramente passare una giornata senza incontrare nessuno.
E anche la pesca non è male, l’acqua di certo non ha le sfumature turchesi del Soca ma i laghi sono popolati da lucci cattivissimi che sbranano esche galleggianti,
e i fiumi contengono temoli spontanei e affamati
che salgono in piena corrente a ghermire enormi plecotteri. Se scopo del
mio viaggiare è soprattutto cercare pesci selvatici a pelo d’acqua e un
po’ di solitudine, beh, mi sa che qui ci tornerò!
Alpi
Centrali – “Nel week-end
andiamo su, a casa di Carlo.” “Si pesca?” “Certo, ci sono chilometri di
fiume, un paio di riserve famose e un laghetto d’alta quota dove non va
quasi mai nessuno!” La ragione dice no, i chilometri son tanti e
viaggerò da solo ma il subconscio, che ha percepito qualcosa
d’interessante nella frase, spinge ad accettare.
E’ una casa Walser, tutta in legno, datata 1638.
Una casa grande, calda, accogliente. La guardo attonito, non mi
stupisce il fatto che questi tronchi di larice abbiano resistito per
secoli agli agenti atmosferici, ma che in quattrocento anni di vita
domestica una disattenzione o un lapillo di camino non abbia ridotto
questa meraviglia in cenere. La polenta gira sul fuoco, del buon vino è
in tavola, la compagnia è ottima. Non sempre ci è chiaro perché si
viaggia, a volte lo si fa anche solo per la compagnia. Peschiamo nel libero, i pesci sono tanti ma troppo
piccoli; peschiamo in riserva, i pesci sono grossi ma troppo punti. Il
terzo giorno saluto tutti e vado su, oltre il limite degli alberi, dove
rimane solo roccia ed erba stentata. Non sono abituato a queste
dimensioni. Nel mio appennino le trote popolano solo una stretta fascia
altimetrica, qui aumenta tutto di un ordine di grandezza. Le ore passano
e salendo e sudando maledico la mia idea, il mio ginocchio, la mia età
e, una a una, le cose che ho nello zaino, ma quando finalmente arrivo in
cima mi rendo conto di non essere ancora così vecchio: l’abbonamento
annuale per l’Unec può aspettare ancora un po’!
Solitudine e silenzio sono assoluti. Poche ore in quota, con la sola compagnia dei primi fiocchi di neve e di bollate di pesci ingenui e coloratissimi basteranno per riappacificarmi con il mondo intero. Gli amici sono rientrati in città, io ho ancora un
giorno di pesca a disposizione ma tornando a valle e contando le auto
nel parcheggio della riserva ci ripenso. Il mio subconscio è appagato,
per lui, andare anche solo poche ore
“…dove non va quasi mai nessuno…”,
è valso i mille chilometri d’autostrada e mille metri di sudatissimo
dislivello. Quaggiù tra la folla non troverò nulla d’interessante da
aggiungere a questo viaggio: si torna a casa! Rimpianti -
A volte viaggio con la fantasia, la pesca a mosca entra nella mia testa
nei momenti meno attesi, nessuno lo sa, ho solo l’aria di essere un po’
distratto ma in realtà ci sono mosche che stanno scendendo la corrente e
io sto lanciando qualcosa di credibile a un bellissimo pesce a fior
d’acqua. Mi estraneo, tra me, gli uomini e la vita di città si apre
continuamente un’ampia voragine, non m’interessano. Appena posso scappo
in cerca d’aria pura, boschi, fiumi, e alle chiacchere dei miei simili
preferisco il gorgogliare del torrente, il fruscio del vento, quel
linguaggio malinconico che ho imparato da bambino.
La vita concede pochi momenti di vera felicità.
Giorni, settimane, dipende dalla fortuna. E il ricordo di quei momenti
non ci abbandona mai, si trasforma in un luogo della memoria in cui poi
cerchiamo inutilmente di far ritorno per il resto della vita. In alcuni
dei miei di sicuro c’è qualche bosco, qualche fiume e la presenza
rassicurante di mio padre…
Spesso mi capita di ripensare alle ora passate
sull’acqua, ai viaggi, ai giorni lontano da casa. Ripenso ai figli che
crescevano, agli impegni di lavoro evitati, penso che avrei potuto fare
di più, dare di più, essere più presente, valutare meglio le priorità,
penso di aver perso tempo e a volte credo di averlo sottratto a cose più
importanti. Ci credo così tanto che una sera l’ho confessato anche a mia
moglie: “Cara mi dispiace lasciarti sola per giorni. Mi sento una merda!” “Beh,
allora togliti subito dal tappeto persiano!”
Poi le giornate si allungano, teneri germogli
rispuntano in giardino e con loro le mie voglie. I buoni propositi
vengono dimenticati e la mente è già in viaggio verso un fiume
che attraversa una tiepida giornata di primavera. Può essere una novità, un sogno che ho
coccolato durante l’inverno, o un posto noto dove so che devo tonare: ci
sono le trote dello scorso anno, sempre quelle, che bollano, che mi
aspettano. So per certo che nessuno ne avrà buttate di nuove, so per
certo che qualcuno ne avrà portata via qualcuna delle vecchie, ma è così
la vera pesca. O il pensiero va verso la cascata di un torrente che ho
raggiunto a tarda sera e non ho avuto il tempo e la forza di superare.
Una di quelle che ti riversano addosso l’odore umido di segreti e
presentimenti. Uno specchio deformante che trasforma l’immenso mondo più
a valle in qualcosa di piccolo e lontano, mentre sopra ci vediamo la
vastità dell’ignoto, dove tutto è nuovo, ma familiare perché già
sognato. Alla fine, però, dopo tutto questo tempo e questo
viaggiare, vi confesso che ogni tanto, nelle lunghe sere estive, torno
ancora al fiume dietro casa. Con le scarpe da città, attento a non
sporcarmi, mi avvicino all’acqua. E’ poca, scorre tiepida e lenta tra
sassi emersi e alghe ormai seccate dal sole. Nel caldo riflesso serale
piccoli pesci fuggono portandosi appresso la loro scia sull’acqua.
Respiro lentamente lasciandomi avvolgere da questo odore caratteristico
che ben conosco: è un misto di fresco dell’acqua, odore di muschio e
sentore di fango, un ricordo olfattivo incontaminato, un viaggio nel
tempo che mi porta molto lontano. E per un lungo momento, oltre alla nostalgia
dell’infanzia, mi sento ancora addosso i sandalini di plastica… |
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