May fly parachute
Marco
Sportelli
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Una piccola risorgiva. Una silenziosa striscia di vegetazione circondata da campi coltivati. Una ferita al contrario. Un posto con trote diffidenti ed egoiste, pesci che richiedono la nostra totale attenzione, che ci costringono ad abbassarci tra l’erba alta. Del resto le trote sono “femmina”, mi sono inginocchiato più spesso davanti ad una trota che ad una donna, pretendono sempre il massimo prima di cadere nelle nostre mani. Lo stare in ginocchio mi rimanda anche a domeniche mattina, fresco d’ombra perenne, odore d’incenso. Mischio sacro e profano e mi estraneo. Mi osservo solo per ore in riva al fiume, cercando di sconfiggere in astuzia una creatura con un QI infinitesimale, persistendo in una puerile attività che ho sempre rifiutato d’abbandonare, impiegando energie inseguendo il nulla, lasciando scorrer via il mio tempo come acqua che non costa niente. Mi osservo a peccare d’accidia. Non so perché lo faccio, e neppure perché lo facciano gli altri, però una domanda mi assilla: «E se il nostro “fuori dal tempo”, il nostro “mondo a parte” avesse invece un senso?» Io credo che se la fuori la gente si agita, si accapiglia, girano soldi, cambiano governi, s’incrociano esistenze, ed in tutto questo rumore di vita, noi riusciamo ugualmente a prendere la nostra canna ed andare a pesca è perché, persi nell’ultimo torrente od a pochi metri dalla strada, nutriamo un sogno, abbiamo una speranza. Per capire questa speranza bisogna comprendere l’evoluzione culturale del genere umano che, dedito da sempre alla sopravvivenza, giunge un bel giorno all’intuizione del piacere della bellezza e, subito dopo, dell’arte, che cogliendo alla perfezione la bellezza la congela in un attimo d’eternità. Ecco il nostro sogno, anche noi, come artisti, inseguiamo la bellezza, ma lo facciamo non nelle forme, ma nel gesto e nel contesto. La natura ci fa da cornice, il fiume da tela e la posa perfetta sul pesce perfetto nel posto perfetto ne è soggetto. Ne sono certo, se non fosse per questa speranza, questa
infinita ricerca, staremmo là fuori molto meno.
Ora sono qui. Aspetto grossi corpi chiari con ali screziate che scendono la corrente ed una splendida trota a mezz’acqua disposta a ghermirli. Attendo di entrare nella leggera trance che, senza riflessioni ne calcolo, conferisce ai nostri gesti la perfezione dell’azione, in cui la canna sembra muoversi da sola, di quel fluido movimento estraneo agli sforzi di volontà che rende il fare straordinariamente piacevole. Anche la scelta della mosca si fa da se: percepiamo che è adeguata, è un fatto estetico. Quando una trota prende un artificiale che sembra naturale anche agli occhi del pescatore devo ammettere che è un curioso incontro di "menti". Varie imitazioni di Tricottero e Plecottero allo stadio adulto sono, in effetti, così credibili ed al contempo efficaci in pesca da farmi dubitare della mia intelligenza. Ma nulla è più bello e realistico che appendere al finale un’imitazione di mosca di maggio. Bella la sicurezza dello zerodiciotto. Bello infilare un amo del dieci. Bella guardarla volare, e poi, sempre perfettamente bilanciata, atterrare con un piccolo cerchio sull’acqua. Bello osservarla scendere la corrente, con quelle enormi ali. Bella l’associazione mentale che invariabilmente suscita: grande mosca /grande pesce. Bello veder salire con esasperante lentezza la nostra preda; la testa fuoriuscire dall’acqua; la nostra imitazione sparire nel gorgo e poi, ritrovarla saldamente piantata nella bocca di una trota importante. Bella anche da costruire, siamo talmente abituati a realizzare piccole o piccolissime imitazioni che quando ci apprestiamo a serrare nel morsetto un amo del 10 ci sembra uno scherzo. La versione che vi propongo è la variante di un modello di De Rosa che costruisco da sempre, L’unica modifica riguarda l’extended body che invece di esser realizzato con una penna di germano tinta in acido picrico e poi rovesciata ed incollata, è ottenuto con peli d’alce e code in fagiano. Il modello originale, che tuttora reputo validissimo, è più leggero e rende al meglio la dove le mosche di maggio sono piccole o in schiuse di Ephemera vulgata. In caso di grosse Ephemera danica il corpo chiaro e nettamente inanellato di questo artificiale fa la differenza. Sono convinto che le trote riconoscano un insetto da uno specifico particolare e quello della danica sia proprio questo rigaggio. Del resto basta osservare i modelli classici, famosi, o che hanno superato l’esame del tempo, per rendersi conto che possiedono tutti questa caratteristica distintiva. La costruzione è un po’ brigosa ma del piacere della bellezza abbiamo già detto. Come per tutti i montaggi elaborati è preferibile operare per fasi e mettere in produzione più esemplari, questo riduce i tempi e migliora i risultati. Prendete una bustina di piume di germano, spelatele, accoppiatele per dimensioni e sagomatele due a due come da disegno(1).
Sfilate l’extended body dall’amo e dategli la caratteristica forma arcuata. Serrate l’amo nel morsetto, fissate l’extended ad inizio curva, montate le ali in verticale e fissate nello stesso punto un’hackles di gallo ginger o di gallopardo(6). Eseguite il torace in dubbing utilizzando la parte più scura dell’orecchio di lepre. Avvolgete tre o quattro giri di gallo ed eseguite il nodo di chiusura(7). Le dimensioni di questi insetti variano secondo gli ambienti in cui vivono ma due taglie sono sufficienti. Quelle grandi le monto su amo grub del 10 ed hanno ali di circa 18mm con un extended body della stessa lunghezza, mentre quelle piccole sono costruite su amo 12 e sia le ali che l’extended sono circa 15mm. Il dovere di una mosca è galleggiare ed il suo mestiere è prendere del pesce. Questo è un’artificiale che conosce il suo dovere e fa il suo mestiere. Pescare con una mosca di maggio è già un bel passo verso la perfezione, e se poi, mentre scende la corrente qualcosa di grosso e scuro si stacca dal fondo… beh, non bisogna mai smettere di sognare!
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