Mosche d'inverno
Marco
Sportelli
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La stagione di pesca è finita da tempo, i ricordi affievoliti. E’ quella parte dell’anno in cui i pesci autunnali hanno ormai smesso di bollare nei miei sogni ma le mosche della prossima stagione sono ancora ninfe tra i sassi. E’ quella parte dell’anno in cui le piccole piacevoli incombenze che rimando all’inverno sono ormai state svolte. Ho pulito e sistemato le canne, rinfrescato qualche legatura, incollato un apicale, sostituito la ghiera deformata e trovato tempo, finalmente, per cambiar punta alla telescopica. Ho razionalizzato il giubbotto, riempito di nylon il dispenser, ritrovato il tagliafilo, raschiato via qualcosa d’indefinito dalla tasca posteriore. Eliminato l’inutile, aggiunto chiodi a scarponi, colla ai wader, cuciture al guadino. E buttato finalmente quei calzini troppo vecchi, troppo lisi. Guardo per l’ennesima volta il mio angolo dei balocchi e tutto è tristemente perfetto. Lo annuso. Di vera pesca non è rimasto neppure l’odore. Ho bisogno di colore. Ho bisogno di respirare un po’ di pesca a mosca. Mi tuffo in rete e mi faccio tentare dallo shopping on-line. Scorro gli articoli. Tante cose sono innovative, più capaci, più efficaci, o semplicemente più colorate. Metto nel carrello. Oggetti che pensare di possedere mi fa immaginare come e dove utilizzarli: quel fiume, quella schiusa, quel pesce che lo scorso anno non ho preso forse proprio perché…
Confondere le due cose e invertire i termini è un attimo. Mi ritrovo a mischiare il possedere con il fare, a pensare che solo comprando potrò vivere delle esperienze. E poi sono belli, pratici, tutti gadget ai quali non posso rinunciare. Il carrello piano piano si riempie di sogni. Abbandono la postazione, mi affaccio alla finestra. Alberi neri e spogli che si stagliano contro il cielo freddo e terso mi ricordano che tutto è transitorio, mutevole, nulla dura per sempre. Mi ricordano che se sono fortunato e la passione non m’abbandona, ho canne, filo, mosche e materiale da costruzione ancora per cent’anni. Pescando tutti giorni. Svuoto il carrello e spengo il PC. In effetti mi rimane ancora una cosa da fare, ma di solito la tengo come ultimo esorcismo contro il demone invernale. In questa stagione, si sa, di mosche non se ne vedono. A meno che… Prendo tutte le mie imitazioni, apro le scatole, le divido per tipo, ambiente, stagione, unisco le simili, scarto qua e là qualche essere spelato, sposto da uno scomparto all’altro, divido, poi sempre più confuso le rovescio sul tavolo e mischio tutto. Sono qualche migliaio. Mi ricordano i soldatini con cui giocavo da bambino. Li conservavo in una grande scatola: un esercito eterogeneo e multicolore con un generale in capo un po’ distratto. Poi li toglievo, li allineavo, li dividevo tra amici e nemici. Nessuno era troppo malmesso da essere eliminato, la forza era nel numero, e anche quelli rosicchiati dal gatto trovavano sempre una collocazione. Ecco, lo stesso con le mie mosche, tranne che al posto del gatto ci sono le tarme. Nelle scatole convivono efficientissimi ma scarni commandos mercenari regalatimi da qualche amico, sparuti guerriglieri dalle divise logore e multicolori trovati appesi ai rami, e numerose truppe regolari, quelle di prima linea, di mia costruzione. Queste ultime sono imitazioni che in un certo periodo della vita ho ritenuto indispensabile. Alcune lo sono tuttora, altre le ho abbandonate, non perché non funzionino, tatticamente sono ineccepibili, ma semplicemente perché la strategia del momento mi spinge in un’altra direzione. Ciascun tipo di artificiale è legato a un ricordo, mi riporta a un momento specifico della mia evoluzione di pescatore a mosca, ma le migliori sono quelle che mi portano lontano…
Storie di pesca – L’ho vista ieri, ombra nell’ombra. Sospesa a pochi centimetri dal pelo d’acqua ghermiva in maniera sporadica rare prede portate dal flusso. L’ho osservata, ho valutato la sua posizione, la mia abilità di lancio, mi sono messo in posizione e… ci ho rinunciato. A volte bisogna essere realistici. Certi pesci sono protetti dalla natura altri dai nostri limiti. Questo da entrambi, un grosso ramo di salice piegato dal suo stesso peso si protende sull’acqua, le fronde strisciano sul liquido e il pesce ci sta proprio in mezzo. Tornerò. Non sarà corretto ma… oggi il ramo sospeso è
magicamente sparito! Ora il pesce lo vedo serenamente a pelo d’acqua,
dalla mia parte, intento a cibarsi in superficie, finalmente
raggiungibile. Attraverso lentissimamente la piana e mi posiziono
sull’altra riva. Controllo mosca e finale. Il pesce bolla con ritmo
alterno, tre, quattro bollate a fila e poi qualche secondo di sosta.
Riemerge sempre nel medesimo punto, probabilmente sta predando sia sopra
sia sotto la superficie. Lancio facile. La prima posa è d’approccio,
molto di lato, ma lo vedo girarsi e dirigersi con lenta determinazione
verso la mia insidia semi-immersa. La grossa Klink sparisce nel vortice
lasciandomi un po’ di delusione: troppo semplice. Molto meno portarlo al
guadino, esce spontaneamente dall’intrico di vegetazione, evita
scrupolosamente un grosso tronco sommerso ma poi si dedica con metodo e
dedizione a mantenere alto il mio livello di adrenalina. E’ ormai
stanco, rassegnato, allo stremo delle forze. Forte dello Le storie di pesca esistono nella mia testa non come una cosa a parte, una cosa solo mia, ma prendono forza da storie di vita, si mischiano a racconti di amici, di altri scrittori, a vaghi frammenti che ormai ho fatto miei. Sono vere, ma più spesso solo possibili, dove il possibile spesso è più reale del vero. La memoria elabora, trasforma, sugge il nettare dai ricordi e sputa i raspi, stempera grigio e noia. Quello che rimane è sempre migliore della verità, un concentrato di eventi salienti, di cose supposte, immaginate, a volte solo sognate. Nei miei ricordi questo posto è popolato da pesci che sembrano felici, pesci che bollano serenamente, con quella costante dedizione che ti fa capire che hanno messo da parte ogni paura. Nella realtà, e ora ne sto facendo riprova, bollano poco e con diffidenza. Tuttavia mi piace muovermi lentamente, in acqua, sulla riva, cambiando sponda, cercando il giusto percorso di risalita, scrutando, sempre scrutando l’acqua in cerca di rari segni di vita. Soffermandomi con lo sguardo sulle strutture, l’incrocio di correnti, i fine buca, l’acqua lenta tra linea di flusso e sponda; alberi sommersi, canali, rami bassi sull’acqua, rocce, sponde scavate… e molto altro. Trovare una cosa molto cercata mi da soddisfazione, quando finalmente intravedo un riflesso anomalo, un ombra che riconosco o una testa che fuoriesce dall’acqua mi esalto, mi s’illumina il viso e mi dico: “Sììì, così! Ora ci siamo!!!” Sono qui per questo. E solo questo rimarrà. Nei miei ricordi anche le imitazioni che catturano sono sempre le stesse: quelle che usavo da ragazzo. In realtà certi scomparti delle mie scatole sono in usufrutto perpetuo a mosche che ormai non escono di casa da anni. Non le uso ma non riesco a disfarmene, questi artificiali sono come micro-interruttori, accendono sprazzi d'emozioni remote, rimandano a momenti vissuti, disfarsene sarebbe come perdere per strada frammenti di vita. Anche oggi saranno i primi a tornare nelle loro cellette. Le Klink invece le uso e l’evidenza della loro efficacia ce l’ho sotto agli occhi perché quelle sul tavolo sono tante, di varie taglie e molte in pessimo stato. Sedge e improvvisazione - Queste invece le devo eliminare. Quando vado in un posto completamente nuovo, cambiando latitudine, dimensioni e colore dell’acqua penso che anche gli insetti debbano cambiare. Allora costruisco basandomi su foto, suggerimenti e un po’ di buonsenso. Non basta quasi mai.
Conservo ancora, come monito, le imitazioni di Grande Perla che feci dopo il primo viaggio nel sud Jugoslavo. Laggiù, a fine maggio, questi grossi insetti si trasformano da curiosità entomologica a fonte primaria di cibo per pesci. Vederli scatenare l’aggressività delle trote e non avere nulla d’efficace mi ha spinto a tornare in quei fiumi più volte. Sono belle imitazioni, ricalcano perfettamente colore e dimensione degli insetti ma sono altrettanto perfettamente inutili. Quelle che funzionano sono difficilmente riconducibili all’insetto reale, sono grossi palmer alati atti a scatenare la reazione del pesce al particolare che sta ricercando: il movimento.
Ogni volta che vedo in rete, alle fiere o su riviste imitazioni statiche di questi insetti so per certo che il costruttore forse li ha visti ma non ci ha mai pescato, o perlomeno non con successo!
Quest’anno, quassù dove non cala mai il sole, il cibo principale delle trote doveva essere a base di piccoli tricotteri. Non ci sono abituato, le sedge che uso generalmente sono su amo 10-12, quelle più piccole funzionano ma di solito mi dimentico di averle. Forse perché sono sbadato, forse solo perché non mi piacciono, di conseguenza nelle mie scatole latitano e quelle poche sono estremamente datate. Ho quindi costruito vari modelli con poca convinzione e, come sempre succede, ben pochi hanno mantenuto le aspettative. Ora, via quelle che non reggevano la corrente, via quelle che dopo il primo pesce si rifiutavano di galleggiare, via anche quelle che non catturavano: sì, non basta un esercizio di stile, non basta un’idea di sedge, a volte serve qualcosa di più! Via anche quelle mai usate, gli manca l’ingrediente principale: la fiducia. Le scarto senza esitazione e le metto da parte. Potrei recuperare l’amo. Estetica e mosche secche - Dalla mia posizione, basso sull’acqua, il riflesso maschera il pesce. Due bollate a filo dell’erbaio poi un’onda superficiale e la trota si sposta a ghermire qualcosa di lato. Ora vedo chiaramente le coppie di alette che scendono nel flusso. E’ tornata in posizione. Potrei predire con esattezza dove si aprirà l’acqua. Aspetto. Tre, quattro effimere sprofondano nel vortice e segue un lungo momento di calma. Sfilo la coda dagli anelli, la mosca in mano, un ultimo sguardo agli ostacoli dietro di me. L’acqua si riapre con confidenza e la mosca, veloce, si posa poco sopra al pesce. Belle le aspettative, bella l’attesa. Le ricordo allo stesso modo di questa esibizione di forza, di questa scarica di adrenalina che genera il contatto con un pesce di taglia. E ricordo l’immagine del pesce tra l’erba e la mosca all’angolo della bocca, esattamente questa che sto rigirandomi ora tra le dita.
Sempre più spesso, quando un pesce a rischio della vita sale fino al tetto del suo mondo per ghermire la mia mosca vorrei capire perché lo fa, e sempre più spesso mi piace vederlo mentre lo fa. Non so da quale processo mentale possa scaturire la sua scelta ma di certo quando una decisione riguarda vita o morte non credo sia basata sul semplice gusto estetico. E anche se fosse, per capire cosa ci trovi d’interessante una trota in una mosca artificiale dovremmo provare a immaginare cosa veda realmente dalla sua particolare prospettiva, dovremmo guardare le nostre imitazioni sempre pensando come pensa una trota. Una bella mosca prende il pesce? No, non necessariamente, soprattutto se facciamo riferimento al concetto Kantiano di universalità della bellezza, però, mai come nella valutazione di una mosca, è vero l’assunto che “la bellezza sta negli occhi di chi guarda”. Siamo usi a costruire e apprezzare imitazioni artificiali seguendo canoni non proprio estetici ma funzionali. Cerchiamo equilibrio, armonia, proporzioni e dimensioni simili a quelli di mosche che ci hanno dato buoni risultati e facendolo ci abituiamo a questi standard. I nostri parametri di valutazione si modificano in relazione al contesto in cui siamo immersi, l’efficace lo percepiamo come “bello” e l’appellativo “bella imitazione” spesso l’attribuiamo a qualcosa che d’attraente ha ben poco. Più o meno capita come con la collega di lavoro bruttina che a forza di girarci attorno finiamo per trovare interessante. Allo stesso modo modellini elaborati, ricchi di dettagli, con ali perfette, code, cerci addominali, occhi e antenne, bellissime da vedere per un profano, per chi li guarda con occhi da predatore sono sgorbi inqualificabili. Bello e funzionale si fondono e diventano percezione univoca gradualmente, anno dopo anno, e sempre e solo dopo il battesimo dell’acqua. Troppo spesso mi è capitato di rimirare compiaciuto una mosca appena terminata, entusiasta del gradevole abbinamento di colori e delle proporzioni perfette che ho ottenuto, per poi, dopo averla provata senza risultato, non riuscire a ricordarmi cosa ci avessi trovato d’interessante! E comunque è inutile angosciarci, possiamo fare tutte le nostre migliori considerazioni, congratularci per l’equilibrio e il gusto estetico che ci traspare. Possiamo gongolarci per i complimenti che ci fanno gli amici ma la benedizione o la condanna inappellabile al nostro grumo di peli spetta sempre allo spietato e imparziale giudizio del pesce.
Etica e streamer - Lentamente, assieme a quest’acqua fredda e trasparente, una calma lunga, assoluta, scende verso valle. A volte la schiusa lascia degli strascichi, qualche insetto ritardatario facile preda delle trote. Insetti che non si riprodurranno mai e quindi non trasmetteranno allo loro progenie questo timing sbagliato (la selezione naturale è spietata). Altre volte, come questa, la natura è perfetta e altrettanto spietata: il drift d’insetti cessa all’unisono e noi restiamo con un lancio a metà. In pochi istanti i pesci, un attimo prima con il naso fuori dall’acqua, tornano alle tane, all’ombra, ai ripari dalla corrente. Tornano alla protezione e sicurezza del fondo.
Sembra si dileguino, ma semplicemente sono in cerca d’altro e con altro sono insidiabili. In queste situazioni ho provato ad appendere alla mia lenza una ninfa o uno streamer e ci ho preso anche del pesce ma alla fin fine loro non hanno preso me. E’ inevitabile, diventando grandi facciamo delle scelte e avendo la fortuna di non dover portare a casa la cena ai figli, il nostro modo di approcciare il pesce è più influenzato dal piacere che dal numero di catture. Crescendo scopriamo che sono poche le situazioni che realmente c’intrigano, pochi i pesci che meritano d’essere catturati. Sono quelli che ci lasciano un ricordo o la voglia di tornare. Soprattutto la voglia di tornare. Scopriamo che certe cose ci danno più piacere di altre. Del resto se è il piacere che cerchiamo a pesca quale altro potrebbe essere il metro di misura? Ma c’è dell’altro.
Nell’immaginario collettivo il pescatore a mosca è sempre stato percepito come uno sprovveduto, legato a doppio filo a una tecnica con molti limiti: raggio d’azione, profondità dell’acqua, limpidezza, stagionalità e disponibilità dei pesci ad avvicinarsi alla superficie, solo per citarne alcuni. Ma la stessa sprovveduta inefficacia, che si traduceva in poche catture e impatto di pesca limitato nel tempo e nei numeri, è anche stato il suo principale pregio, quello che gli aveva permesso di essere considerata una pesca elitaria, poco impattante, rispettosa dell’ambiente. Quella che ha permesso di generare l’assioma TUTELA ITTICA = PESCA A MOSCA. Non è più così, e ce ne possiamo rendere conto giornalmente. La pesca a mosca è diventata adulta e lo sprovveduto pescatore che aspetta la schiusa anacronistico. Ora il pescatore a mosca ha canne più lunghe, fili più sottili, galleggianti ed esche più pesanti e l’azione di pesca non conosce più limiti di orari, stagioni, e forse neanche di colore dell’acqua. Il pescatore moderno è diventato come il pescatore a passata, niente più levatacce, niente rientri fuoriorario, niente panino al fiume per non perdere il momento propizio. Come direbbero gli americani finalmente può pescare Bank hours, con la ragionevole certezza di catturare. Il pescatore completo, quello che sa prendere pesce in qualsiasi situazione, addirittura si vanta di essere più efficace di un pescatore al tocco! Io ci credo ma… siamo certi sia una buona cosa? Non sono totalmente indenne a tutto ciò, noto che in qualche modo da questa massa di artificiali spicca qua e là anche qualche coloratissimo Streamer. Ho imparato che a dispetto della taglia enorme dei pesci a cui miro quando li lego al finale, gli artificiali voluminosi hanno generalmente una resa modesta. Queste trote moderne difatti, allevate con mangime sminuzzato o con prodotti liquidi, sembrano più disposte ad attaccare una piccola preda che si muove lentamente piuttosto che una grossa esca sinuosa ed ondeggiante. Tuttavia ho quasi solo grossi streamer. Attaccarne uno al finale mi dà un senso di sicurezza, mi fa sognare grandi prede e soprattutto aiuta a fugare il dubbio che mi assale quando pesco l’acqua: “La vedranno la mia insidia?”. Ma come tutti gli artificiali che prosperano nelle mie scatole hanno un solo difetto: non funzionano. Quelli che funzionano o sono esauriti o ne rimangono uno o due esemplari spelacchiati. Eliminarli! Tavolo da costruzione - Il far mosche è un’arte effimera, impegniamo il nostro tempo e i nostri sforzi nel realizzare qualcosa che già sapremo che più siamo stati bravi meno durerà. Poche sono le mosche che sopportano più di qualche cattura. Arte è una parola eccessiva? Forse, ma quando l’uomo non replica semplicemente la naturata ma tenta di rappresentarla secondo i suoi canoni e la sua personale astrazione visiva, è comunque arte. Ma non solo, in una mosca c’è anche molta più micro ingegneria per distribuire pesi, bilanciare, valutare i punti di contatto con l’acqua, di quello che crediamo, ma c’è anche molta abilità manuale, visione d’insieme, immaginazione, intuito, grazia ed eleganza. Qualcuno queste doti ce le ha innate, altri copiano molto bene, altri ancora… beh, è meglio che le mosche le comprino! E il tutto fa capo a quel gusto estetico ammaestrato dall’uso di cui abbiamo già parlato. Al tavolo da costruzione però mettiamo anche altro. Mettiamo gli anni passati al fiume, le ore al morsetto, e a volte proviamo a metterci un alito di vita. Sì, perché gli insetti sono vivi, si muovono. Le emergenti di solito si lasciano trasportare inermi (quasi) dalla corrente ma gli adulti fanno di tutto tranne che star fermi. Ecco allora giustificato l’impressionismo dei nostri artificiali: palmer, pelo di cervo, cul de canard, morbide piume avvolte sulla mosca a simulare un etereo movimento. Altro elemento fondamentale alla creazione di un’imitazione efficace è la corretta valutazione del punto di vista del pesce. Imitare un insetto da una foto o guardandolo appoggiato alla vegetazione ci porta facilmente fuori strada. Va imitato per come viene predato. Quest’anno sono incappato in una schiusa di sedge ripetuta nei giorni. Tricotteri marroncini in acqua, in aria e sui rami. Facile!!! Di Brown sedge sul 12 ne ho una scatola piena! E’ servito un intero pomeriggio di catture troppo casuali per spingermi a osservare da vicino questi insetti.
E pensare che bastava girarne uno per accorgersi che quando si avvicinano all’acqua per deporre, quello che vede il pesce è un vistosissimo addome verde brillante che ben poco ci azzecca con la mia imitazione. I giorni successivi, dopo una serata al morsetto, è andata meglio. Al tavolo da costruzione ho acquisito delle certezze, ho eliminato gli ami a filo troppo fine o quelli con la punta troppo lunga, ma sto ancora cercando il giusto compromesso tra minimalismo e complicazioni inutili. A volte i pesci sono talmente facili da farmi pentire di tutto il tempo perso per fare imitazioni perfette e credibili ma altre volte i pesci sono terribilmente schizzinosi e so che devo fare il possibile per proporgli esattamente quello che s’aspettano. Dipende molto da quanto sono insidiati ma dipende anche dai posti e dai pesci. Fario - Le Fario, come tutti i pesci, si nutrono di quello che passa il convento, ma se vivono in un posto ricco di cibo si prendono i lusso di scegliere cosa, quando e come nutrirsi. Quando decidono di farlo in superficie io vorrei essere la, e cercare d’immaginarlo, e quindi di pianificare le mie uscite di pesca è una delle attività a cui dedico più tempo e impegno, ma anche così, spesso mi sbaglio. Senza questi errori, senza giorni inevitabilmente senza pesce amerei la pesca molto meno. Difficile capire perché durante una schiusa mista a volte tendano a preferire un tipo o stadio d’insetto ad altri. Sarà la maggiore visibilità o la più facile certezza di ghermirlo. Ho sentito qualcuno parlare di sapori, sembra che certi insetti siano più deliziosi di altri ma mi rifiuto di sapere come abbiano fatto a stabilirlo!
Potrei mettere anch’io qualche effimera in menu però mi assalgono dei dubbi: sono da considerarsi carne o pesce? E quindi ci devo abbinare vino rosso o bianco? In attesa di trovare queste risposte rimango incerto se la scelta venga privilegiata da abitudine: insetti che schiudono da più giorni vengono preferiti perché il pesce si è abituato a riconoscerli; facilità di predarli: insetti con una lenta fase di trasformazione in insetto alato hanno un lungo tempo di transito appesi alla pellicola superficiale e quindi possono essere facilmente predati; visibilità: certi colori o il movimento di alcuni insetti tende a stimolare l’aggressività dei pesci. Emblematico è quello che succede con le mosche di maggio. Dovrebbero essere estremamente ambite al pesce eppure, tranne le prime schiuse di stagione o nei fiumi dove appaiono in maniera costante ma in pochi esemplari, in molte situazioni vengono ignorate. Sembra quasi che i pesci, fatta una scorpacciata iniziale, ne abbiano a nausea.
Le Fario hanno un’altra particolarità, che diventa evidente quando si va a pesca di altri pesci. Centinaia d’anni d’allevamento, incroci e transfaunazioni le hanno rese talmente instabili geneticamente che è diventato quasi impossibile trovarne due identiche. Ogni pesce è una storia a parte, ogni Fario che arriva a guadino merita uno sguardo. Certi pesci sono tutti uguali, preso uno presi tutti, non c’è la sorpresa appesa all’amo ma con le Fario oltre alla meraviglia del loro comportamento si aggiunte anche questa curiosità: sarà selvatica, chiara, scura; una trota nera, lunga, con la testa grande e le pinne enormi o un pesciaccio di vasca? Sarà una mediterranea finemente punteggiata o un Atlantica dai grossi bolli rossi? O forse un ibrido, figlio di una Fario, una Marmorata e qualche ipotesi…
Più sono insidiate più diventano imprendibili e quindi per aver successo quasi sempre occorrono tipologie alternative d’artificiali, occorre far selezione, togliere dalle scatole il vecchio e lasciare un certo spazio al nuovo. Nostalgia – Una parte della selezione si fa da sola, giorno per giorno, andando a pesca. E’ inevitabile, qualcuna si perde in bocca al pesce, qualcuna dalla patch e altre si perdono a scatole. Mi è capitato solo una volta, sul Gacka, una piccola scatola d’emergenti. E comunque poco male, non è un brutto posto per perderla. Come da credenza popolare quando si lascia o si perde una cosa da qualche parte prima o poi ci si ritorna. E io ci sono tornato, a cercarla. Ogni anno scruto tra l’erba ma niente: mi sa che dovrò tornarci anche la prossima stagione!
Altri posti invece so già che non li vedrò più e a sera, l’ultimo giorno, li saluto con un’anticipata nostalgia. Alcuni sono troppo distanti, altri li ho visti, mi sono piaciuti, ma non so se avrò più occasione di tornarci; certi sono troppo ostici, e altri, infine, sono diventati troppo di moda e affollati, sono sulla bocca di tutti, sviliti, appesi nudi ai social, ricchi di gente ma poveri d’opportunità. Acqua fresca, pura, corrente, qualche trota che bolla, e tu. Questa è una bella immagine di pesca a mosca. Aggiungi al quadro anche solo qualche altro pescatore e ti sfido a venderlo.
Se fai qualche centinaio di chilometri per recarti in un fiume che di solito hai pescato solo con un amico, fai il solito scomodo sentiero tra i rovi e giunto al greto scopri una piazzola che non esisteva e già senti le urla dei nuovi Unni che raspano il fondo, immersi in acqua fino alla vita esattamente dove i pesci erano soliti bollare, difficilmente troverai il cuore per tornarci. Certi amici, spaventati da questi nuovi mostri hanno smesso di pescare, altri fuggono lontano, in mete esclusive, altri, come me, si ritirano nei piccoli riali nascosti dalla solitudine del bosco. In verità io l’ho fatto a prescindere, e per anni sono fuggito senza sapere bene da cosa. Credevo che più mi allontanavo dal mondo, più distanza mettevo tra me e miei fantasmi, più fosse facile lasciarli indietro. Mi ci sono volute decine di escursioni in torrenti ostici e solitari per capire che loro si sapevano arrampicare anche meglio di me! Ho ultimato la cernita, finalmente rimangono solo le mosche utili e indispensabili. Guardo gli scarti. Qualcuna ha il corpo talmente malmesso dai denti delle trote che meriterebbe un vitalizio e di passare il resto della vita ai tropici in una meravigliosa scatola di radica, altre hanno dei vizi di forma, qualcosa d’indefinito che mi urta, certe non le ho mai usate e, come certi vestiti nell’armadio, mai userò. Con un po’ di calma e una lama molto affilata potrei smontarle e recuperare gli ami. Ne salvo ancora qualcuna qua e la. Sembrano implorarmi e un po’ m’inteneriscono, quando le costruisco le carico talmente d’aspettative che ora, più che mie creazioni mi sembrano mie creature. Ci ripenso, forse qualche pesce in qualche tempo o qualche luogo potrebbero ancora catturarlo. Le rimetto tutte a malincuore nelle scatole e le salvo dalla pena capitale, e poi, qualcuna potrei anche regalarla agli amici ma... ho veramente degli amici così poco amici da passargli le mosche che scarto! |