Su
al Sud
Marco
Sportelli
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Aprendo una cartina per pianificare una gita di pesca lo sguardo mi corre subito a nord: Friuli, Veneto, Trentino, o ad est: ex Yugoslavia. Quest’anno cambio direzione, vado a sud. Parto solo. E’ un lungo viaggio ed in un lungo viaggio uno
trova pensieri cui pensare. Guidare senza fretta e senza traffico mi piace.
Non so a voi ma a me stimola la fantasia: la mente è attenta e vigile, il
ritmo cardiaco è un po’ accelerato, in circolo ci sono tracce di adrenalina,
insomma, le idee migliori mi vengono proprio mentre guido o mi faccio la
barba. Frasi che filano, battute argute ed intuizioni straordinarie si
accavallano nella mia mente… per dissolversi al primo sorpasso. Se potessi
scrivere mentre guido diventerei famoso… Ho parafrasato il titolo di un noto film perché “Su, al
Sud” è un concetto reale. Sono abituato a pensare neve, montagne e grandi
fiumi al nord; mare, sole e pomodori al sud. E’ vero, ma non completamente.
Nella parte centro meridionale dell’Appennino ci sono rilievi importanti che
superano i 2000mt. Montagne calcaree che d’inverno si coprono di neve per
poi alimentare con linfa fredda e pura i meravigliosi fiumi da trote che si
celano tra queste vallate. Nord e sud sono anche sinonimo di freddo e caldo,
ed è vero non solo nell’aria ma anche nel cuore della gente. Prendendo
contatti per organizzare al meglio questa gita ho incontrato persone
disponibili, persone che amano i loro fiumi e si adoperano per valorizzarli,
persone che valgono come la bellezza dei luoghi. Mi sono deciso per il sud anche curiosando nei vari forum
di pesca: leggendo tra le righe e dando importanza agli ampi spazi vuoti ne
scaturisce un leggero brusio di fondo che, volutamente non chiaro, sembra
dire “le trote… grosse… si prendono… al sud…”. Beh, come dicevo, è un lungo viaggio…
Abruzzo
– Ho già pescato la zona NK del Sangro ma quest’anno ho un’arma in più, sono
in contatto con Massimo, costruttore di canne in bambù ed esperto
conoscitore di questi ambienti. Massimo mi accompagnerà alla scoperta di
posti in cui un pescatore di passaggio difficilmente riesce ad accedere.
Amo i riali appenninici, lo sanno tutti e credo anche lui,
perché la prima cosa che mi propone è proprio un piccolo torrente, il
Giovenco. Beh, mi ci butto a… pesce!
A valle di Cesoli occorre solo la
licenza di pesca, l’unico balzello lo si paga alle fronde che si protendono
sull’acqua. Sì, è piccolo, infrascato, completamente naturale, però fa parte
dei torrenti gentili, quelli che si lasciano risalire agevolmente camminando
in acqua o sulla traccia che a tratti li costeggia, ed ha conservato l’acqua
pura di sempre. Le trote ovviamente sono piccole, quasi tutte selvatiche, ma
non ingenue come quelle cui sono abituato. Il Giovenco mi sta impartendo la
prima lezione di questa gita: le acque del centro-sud sono molto più
produttive dei miei piccoli torrenti appenninici o dei torrenti rocciosi del
nord Italia. I pesci hanno da mangiare e scelgono con cura. Le mie orribili
ma universalmente efficaci formicone segnano il passo, anche su pesci
spudoratamente in attività, mentre le imitazioni più realistiche di Massimo
catturano con regolarità. Per questi piccoli torrenti prediligo una
teleregolabile e declino l’offerta di una canna in bambù. Pragmatico e
pasticcione come sono ho sempre reputato questi attrezzi obsoleti, fragili e
pesanti, sopratutto per questi ambienti estremi.
Bello questo posto. Gli enormi farfari coprono in parte
l’acqua facendolo sembrare in qualche modo preistorico. Il tempo rallenta ed
i volteggi del bambù con loop stretti e pose precise m’invogliano alla
prova. Non ne ho mai usata una in pesca e la prima sensazione e
piacevolissima. E’ più leggera di come me l’aspettavo, non vibra, non
strappa, ma è viva, e non ho neppure bisogno di adattarmi ai suoi tempi,
siamo già in sintonia: è rapida e di punta come sono abituato. Ed è bella,
bella come questo torrente solitario e silenzioso. Mi rendo conto che ci si
può realmente pescare proficuamente. Seconda lezione: è salutare, di tanto
in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che si è dato a lungo per
scontato. Mi rimane solo un velo angoscia tant’è che quando una stretta
forra invalicabile ci costringe a tornare all’auto la riconsegno
immediatamente al proprietario.
Incredibile, ci ho pescato e non l’ho neppure rotta!
Il pesce non manca, oltre a trote di tutte le taglie c’è
sempre la possibilità d’incocciare in grosse iridee e qualche vecchia fario.
In maggio il Sangro è noto per le schiuse di grossi plecotteri. E’ fine
maggio, purtroppo sono appena terminate, ma non nella memoria delle trote,
difatti riesco a catturare qualche pesce interessante facendo pattinare
grosse stonefly in corrente. Per chiudere in bellezza, a sera, una schiusa di
tricotteri mette in frenetica attività tutti i pesci del fiume. Le catture,
come spesso accade, non sono facili finché c’è luce per diventare quasi
banali a buio fatto.
Il giorno successivo il mio mentore mi sprona verso la
libera. “Il vero Sangro”
mi dice “inizia a valle del No
kill, anche molto più a valle”. Le trote nella libera sono molto
più rare ma il fiume riacquista un aspetto selvaggio e naturale. Quaggiù le
piane sono più lunghe, più profonde, gli alberi sembrano nascere
direttamente dal fiume e nelle curve l’acqua ha scavato buche profonde. Tra
massi, rocce e radici si celano tane promettenti che stimolano il nostro
istinto da predatore, ma non è facile da pescare e tanto meno accedervi:
mancano i sentieri e la vegetazione arriva fin dentro l’acqua ma
soprattutto, se non si è esperti del posto, è improbabile uscirne a buio
fatto. Eppure le trote, quelle grosse trote ormai rare per cui era famoso
questo fiume, quelle trote che qui hanno spazio per crescere e nascondersi
si muovono raramente durante il giorno. L’unico modo per avere una
possibilità, anche solo una possibilità, è di tirar tardi. Il consiglio di
Massimo ve lo giro pari - pari:
“…rimani fino a buio ma solo dopo esserti accertato con precisione dove
hai lasciato la macchina ed il tragitto per ritornarci”. Posso
aggiungere che un guadino a manico lungo ed una buona pila frontale vi
saranno d’aiuto.
Molise
– A pochi chilometri dal Sangro scorre il Volturno. Qualcuno, a ragione,
l’ha definito la Sava del sud Italia e, in effetti, sostituendo conifere a
latifoglie ci si potrebbe confondere. Mi accompagna, in parte virtualmente,
Pasquale. Lui è campano,
non
abita vicino al Volturno ma quale frequentatore abituale lo conosce a fondo. Infettarsi di pesca a mosca in provincia di Napoli non è
facile, ma come sto velocemente imparando in questo viaggio, non è neppure
da classificare tra le malattie rare. Ha cominciato insidiando cavedani nel
basso Volturno per poi risalire, chilometro dopo chilometro, sempre più
lontano da casa e vicino alle sorgenti. Le trote sono meno furbe, meno
grosse, meno abbondanti dei cavedani ma ti stregano, è matematico: quando
cominci a pescarle non puoi più farne a meno. Il Volturno in pochi chilometri passa da un rivo che,
causa captazioni, si attraversa quasi con un salto, ad un imponente fiume
del piano difficile da attraversare anche con i wader. Il motivo di questo
suo rapido trasformarsi è dovuto principalmente alla sua origine sorgiva: i
massicci calcarei che lo circondano drenano direttamente in alveo l'acqua
che li pervade. La reimmissione dell’acqua prelevata alla sorgente ed un
paio d'affluenti fanno il resto. L’azione di pesca di conseguenza assume
sfumature diverse, si passa dalla pesca in caccia nel tratto alto, a trote
iperselettive nelle piane o tra gli erbai più a valle. Ho già pescato il Volturno e quest’anno mi limiterò ai due
estremi: la parte alta ed il NK dei “Venticinque Archi”.
Alto Volturno
– Sopra la riserva di Colli la pesca è libera e qualsiasi accesso (in verità
sono pochi) conduca al fiume è buono. La strada corre alta sul torrente,
quindi c’è da mettere in conto una discreta scarpinata. Il fiume è
assolutamente naturale e la vegetazione lo stringe da vicino lasciando
l’acqua come unica possibilità di risalirlo. Occorrono i wader ed una certa
determinazione ma l’acqua limpidissima e le fario, quasi tutte macrostigma
selvatiche, meritano i nostri sforzi. Sono posti da canna corta o
teleregolabile. Sono posti che, come ho già imparato sul Giovenco, non ci
sono schiuse di Chernobyl e quindi devo ripiegare su qualcosa di più
credibile: classiche mosche da caccia o piccole sedge. Le catture sono
sudate e di taglia “torrente” ma l’ambiente integro e la genuina spontaneità
con cui aggrediscono la mosca giusta mi regalano piacevoli ore di pesca.
Pesco a risalire, mi muovo costantemente in acqua
vergine, sempre più vicino alla sorgente. Ci sono posti degni di nota, a
volte. Un grosso masso, una radice, cospirano nel dare al pesce sicurezza e
flusso costante di cibo. Posti che sono come bollate: la trota DEVE essere
li!
Nella
parte centrale è la vegetazione riparia a dominare la scena: salici, ontani
e cerri si contendono lo spazio libero sopra l'acqua ma più a monte la
roccia e l’aumento di gradiente generano buche profonde più idonee alla
pesca al tocco o agli amanti della ninfa.
Un
pilone mi riporta alla realtà: sbuca tra la fitta vegetazione e si erge
grigio ed infinito verso uno spicchio di cielo. Mentre quaggiù scorre
lentamente il pomeriggio, lassù, molto molto più in alto sento scorrere
velocemente il vivere moderno. Rientrando verso valle mi fermo a fotografare
delle orchidee selvatiche. Tendo a riempire casa mia di cose inutili ed ora
mi rendo conto che è solo per sopperire a ciò che manca veramente: uno
spicchio di cielo azzurro e questi meravigliosi prati fioriti.
“Venticinque archi”
- Il fiume quaggiù è… fiume. Si allarga in più rami o scorre in ampie piane
bordate di vegetazione. Non è facile da attraversare, il fondo irregolare e
la corrente fino a filo di sponda indirizza verso l’utilizzo di un bastone
da wading. L’ho sempre ritenuto un accessorio più ingombrante che utile ma
anno dopo anno i sassi diventano più grossi e la corrente più forte.
Soprattutto dopo i cinquanta… La notevole portata, il fondo ciottoloso, gli
erbai e soprattutto l’abbondante presenza d’insetti sostengono una discreta
popolazione di trote e ne fanno una meta fantastica per chi ama la pesca a
galla. Oltre a svariate famiglie di tricotteri ed effimere la regina di
queste acque è l’Oligoneurella
Rhenana. Grossa effimera di colore bianco che con le sue schiuse
massicce e protratte, da Giugno a Settembre, catalizza l’attenzione serale
dei pesci presenti.
Una schiusa rada d’effimere sta tenendo in attività qualche pesce regalandomi catture perfette: pesci difficili, pesci che richiedono il meglio da noi, ma non impossibili. A sera il fiume esplode di vita. In acqua ci sono dun, spent, grossi ecdyonuridi che si accoppiano, sedge che depongono o sciamano sull’acqua, trote ovunque.
La luce scema, il pesce impazzisce e io… anche. Non è facile, ci sono troppi stadi e troppi insetti, per
giunta le trote non agiscono in modo univoco. Di solito nel momento che
pensate di aver risolto l’arcano per averne presa una con un emergente di
sedge vi accorgete che quella subito a monte non accetta nulla che non sia
una spent d’effimera. Di solito. Questa sera è peggio, neppure le mie
preferite, quelle di cui ho cieca fiducia riscuotono il minimo interesse,
neppure un rifiuto. Sono diventati pesci impossibili. Terza lezione: se i moschisti locali dedicano
un’attenzione maniacale alla costruzione delle loro imitazioni c’è un
motivo. Tutta questa tensione vitale, questo nascere, riprodursi,
morire, questa frenesia alimentare sarebbero straordinari ed appaganti per
se stessi… se non fossi qui per catturare la più grossa della piana. Il piacere della pesca a mosca ed il gusto estetico della
cattura raggiungono il massimo nel tardo pomeriggio, quando la luce ci è
amica, spariscono i riverberi, il vento si ferma; vediamo la mosca ed il
pesce che sale. Più tardi, quando avanza la sera, l’esteta lascia spazio
al predatore, il piacere mentale alla tensione ed all’adrenalina: rimaniamo
qui non per la bellezza del gesto ma per la preda da foto.
E’ quasi buio. Qualche bollata
importante mi convince per una grossa sedge ed un filo adeguato. Individuando un grosso pesce in attività in posti
difficili occorre pianificare in anticipo le fasi successive. Sostituire il
finale e verificare la tenuta dei nodi sono il primo passo, subito dopo
occorre prevedere dove vi porterà il pesce ed individuare come e dove
salparlo. Se avrete la fortuna di agganciarlo. Il guadino deve già essere
pronto all’uso. Con pesci di taglia occorre qualcosa d’idoneo. Quello che
amiamo esibire appeso alla schiena è buona per la frittura. L’ho imparato
anni fa con le grosse trote del Piave: presentare il mio piccolo guadino in
legno a pesci di un paio di kg mi faceva prima sorridere e poi imprecare
perché quasi invariabilmente si risolveva con un pece perso. Ora ne ho uno
in legno molto più capiente, per luoghi aperti come i fiumi del nord, ed uno
pieghevole per risorgive e posti intricati. Quello pieghevole è un relitto
ma ha un valore affettivo: lo usavo per i lucci vent’anni fa, e prima di me
mio padre per le carpe. Si porta piegato sulla schiena, è telescopico,
un’ampia apertura ed una rete profonda a maglie rade e sottili. E nato per
uno scopo e lo svolge con agilità e precisione. E’ l’esatto opposto di una
rete da C&R ma provate ad immergere in corrente una rete fitta abbinata ad
un manico lungo e vi renderete conto della potenza dell’acqua. Se il mio ha più di trentenni c’è un motivo: lo uso poco.
Troppo poco.
Biferno
- Ogni
anno mi piace provare qualche posto nuovo. Quando studio una carta
geografica, con particolare attenzione alle righe azzurrine che convergono
verso valle, e confronto le centinaia di possibilità al numero infinitamente
minore di opportunità concesse mi monta una leggera angoscia: non li
pescherò mai tutti. I posti nuovi però sono anche un’incertezza e li approccio
con una certa ansia. Gli itinerari che programmo, quindi, sono sempre un sottile bilancio emotivo tra ansia da “come sarà sto’ posto” ed angoscia da “non li pescherò mai tutti”. Insomma, se voglio vivere sereno mi conviene frequentare
solo laghetti a pagamento… ma anche di quelli ce né tanti… Mi basterà una
vita? Il Sangro e il Volturno li ho già frequentati in passato,
in posti diversi ed in stagioni diverse, ma comunque il colore dell’acqua,
il paesaggio che li circonda sono nel mio panorama mentale. Il Biferno no, è
nuovo. In verità non proprio, mi ci portò mio padre da ragazzino, ma più a
valle, dove ancora predominano i ciprinidi. Mi ricordo barbi e cavedani alla
passata, i granchi di fiume attirati dal retino, i locali che ci portavano
formaggio in cambio di pesce e migliaia di farfalline bianche (Oligoneurelle?)che
a sera, attirate dalla luce, invadevano il nostro bivacco sul fiume, ma
tutto ciò non è un ricordo reale: è visto con gli occhi di bambino, è
soffuso di mito. Dopo 35 anni per me il Biferno può essere solo un posto
nuovo. L’economia del cemento ed i fondi post terremoto hanno steso lungo ogni fiume una fondovalle a scorrimento veloce. In un’ora si può chiudere la canna sul Sangro, lavarsi gli stivali nel Volturno e riaprirla sul Biferno. Da Colli al Volturno si prende per Isernia, poi per Boiano ed infine per Termoli. Viaggiando prudenzialmente sotto i 100-150 Euro di multa e a non sbagliare strada richiede poco più di mezz’ora ma il mio navigatore non funziona, cioè, non è proprio rotto è che funziona solo attaccato alla spina di casa, e per quanto lunga ci puoi comprare la prolunga… non ci vai molto lontano. Dopo qualche inversione ad “U” costeggio il fiume ed esco alla Piana dei Mulini.
Le informazioni
raccolte concordano nel dire che dopo un passato triste, il
Biferno sta
migliorando e negli ultimi anni è forse il fiume che può vantare il migliore
incremento di popolazione ittica. Se la regolamentazione del Volturno è
articolata questa la possono pubblicare sulla Settimana Enigmistica. E’ il
fiume più lottizzato che abbia mai visto, in 8- Non pesco sereno perché non sono riuscito a fare il
permesso, così dopo qualche ora di pesca proficua mi adeguo all’usanza e
torno sul Volturno: un paio di belle trote mi aspettano! Sono venuto con ricordi di gioventù e me ne vado con il
ricordo di un odore. Sarà una mia impressione, sarà il temporale del giorno
prima, ma quest’acqua un po’ puzza!
Campania –
Sele e
Tanagro sono nomi noti tra i pescatori a mosca. Una fama meritata per la
bellezza dei luoghi e le enormi trote che li popolavano fino agli anni ’80.
Sono paragonabili ai grandi fiumi del nord ma con acque molto più
produttive. Sono fiumi che hanno sofferto d’incuria e poi di gestione FIPS.
Sono fiumi ancora vivi che, semplicemente lasciando fare alla natura,
tornerebbe agli antichi splendori in pochi anni. Se poi un gruppo di
volenterosi, come sta accadendo ora a Contursi, si batte e si prodiga per
accelerare questa ripresa ci si può solo aspettare meraviglie.
A Contursi Terme ci attendono gli amici del Mosca Club
Campania. Collaborano a titolo volontario con l’ARS Sele che dal 2010 ha in
concessione il tratto di Sele che va dalla confluenza con il Tanagro a
risalire per nove chilometri. L’ambizioso progetto è mirato a riqualificare
la risorsa “Sele”’ in generale, con la realizzazione di accessi e percorsi
ciclabili e pedonali, ed in particolare a tutelare e ripristinare la
popolazione autoctona Fario mediterranea del Sele. A tal proposito è stato
allestito un incubatoio di valle. Si prelevano i riproduttori dal fiume, si
spremono, si attende che gli avannotti riassorbano il sacco vitellino e poi
si seminano in alveo. Questo è l’unico supporto che viene dato alla natura.
Dopo una rapida visita all’incubatoio si va a pesca. Il
fiume alterna tratti veloci, qualche buca e lunghe lame. La conformazione è
da pesca in caccia ma da precedenti lezioni e da quello che vedrò a sera i
pesci sanno molto bene quando e di cosa nutrirsi, infatti ora, in pieno
sole, trovo solo esemplari piccoli e particolarmente difficili. Cercavo
pesci rustici e selvatici, pesci cresciuti nel fiume? Eccoli! Ma prenderli…
Molto meglio la pausa pranzo. E’ incredibile come una
giornata di pesca migliori considerevolmente seduti a tavola a bere vino e
parlare dei tempi andati! Si parla di Sele-Tanagro, macrostigma e
soprattutto di Rhenane, vanto e cruccio dei pescatori locali.
Ho già pescato su una schiusa di
questo insetto e, non avendo imitazioni adeguate, con scarso risultato.
“Qual è l’imitazione migliore?” La risposta è univoca:
“Quella che ha appena preso il
pesce”, e su queste disquisizioni il tavolo da pranzo si trasforma in
una sessione estemporanea di costruzione. Confrontarsi giornalmente con
pesci estremamente selettivi ha affinato la loro abilità al morsetto. Sono
tutti ottimi costruttori ma ciascuno però interpreta la Rhenana a modo suo
confermandomi ciò che già intuivo: catturare durante un’intensa schiusa è un
evento quasi casuale. Al tavolo con noi c’è anche un personaggio
straordinario, Lino Pontrandolfo, decano della pesca a mosca Lucana che con
i suoi 74 anni mi dimostra un’invidiabile precisione al morsetto ed un
entusiasmo da ragazzino.
Ripongo queste belle imitazioni che mi regalano nelle mie
scatole, do una sbirciatina nelle scatole degli altri (ci sono tante sedge)
e poi si torna a pesca.
Guardando nelle scatole di un
pescatore locale ci si può già fare in anticipo un’idea del pasto principale
ma quando scende la sera mi ritrovo parte di uno spettacolo inatteso. Le
sedge sciamano tanto fitte da togliermi il respiro. Il correttore di Word mi
dice “termine di paragone logoro ed abusato”, si lo so, ha
ragione, ma è proprio questa la sensazione: non è colpa mia!
Ora riesco a valutare correttamente
la popolazione presente.
Il pesce è veramente tanto ma tranne qualche
“vecchia” la stragrande maggioranza è frutto di questa nuova gestione e
quindi la taglia è modesta. Le trote prendono chiaramente piccole effimere
verdine. Faccio un rapido ripasso mentale delle mie scatole: ce le ho, sono
assieme alle mosche da temolo, ma ormai…. ho montato una sedge e non la
cambio perché il solo sapere di averla, il sapere di poter passare alla
mosca giusta appena voglio, mi da il diritto di continuare a pescare
deliberatamente con la mosca sbagliata e continuare a catturare. A volte
“Serenità e Convinzione” battono “Mosca Esatta”… e beh, sì, anche tutte
quelle sedge per aria vorranno pur dir qualcosa!
Bene, a queste sedge, che in ordine casuale emergono,
schiudono e depongono, alle costanti e sempre presenti effimere uniteci fra
qualche giorno le imponenti schiuse notturne di O. Rhenana e capirete perché
i fiumi del sud riescono ad ospitare pesci grossi ma soprattutto perché
catturarli sia tutt’altro che semplice. A buio fatto, un buio che per me di
solito segna il fine giornata, Nunzio ed Antonio, mi fanno notare che
qualcosa è già cominciato. Sono le prime della stagione, formano un denso
sciame, scelgono un tratto torrentizio e salgono e scendono la corrente. Le
Rhenane sono le effimere in assoluto, vivono pochissimo, non abbandonano mai
l’acqua e dopo questa breve danza nuziale, a notte cadono in acqua come
spent. Le grosse trote, che lo sanno, aspettano questa manna notturna e
sperare che fra tutti quei naturali, lanciando ormai alla cieca solo sul
rumore della bollata, la trota prenda proprio la vostra richiede un
inguaribile ottimismo. Ma succede. A volte succede.
Tanagro
– Per pescare il Sele grande ed il Tanagro occorre la tessera FIPS. Il
Tanagro a monte di Contursi e ancor più nei pressi di Sicignano ha la
conformazione perfetta per la pesca a mosca. La popolazione ittica
attualmente è modesta ma gli irriducibili amici campani sono già in lotta
per ottenerne un tratto in concessione, e quello cui stanno mirando è
splendido. Immersi in queste ampie piane o nei suoi lunghi ghiaieti non è
difficile immaginarsi di intravedere, da un momento all’altro, le rapide
salite di un temolo!
Basilicata
–
“…in un posto dove una trota molto grossa mi ha spezzato l’amo, ho avuto una
grandissima avventura di pesca. Mi avvicino con circospezione e nel punto
dov’era l’anno scorso anche quest’anno trovo un pescione (forse lo stesso).
Ninfa stando sul fondo. Retrocedo tra le piante per stare in posizione
di sicurezza, alzo gli occhi, e non c’è più! Sto fermo e lo individuo che
scende la corrente con la testa a monte, e si ferma proprio davanti a me!
Sto immobile, se mi muovo mi vede sicuramente. E’ attaccato alla riva, muove
la testa a destra e sinistra prendendo ninfe. Passano i minuti, dopo una
decina o più in cui sto immobile, fa tre o quattro bollate a galla, infatti
è iniziata una discreta schiusa. Non resisto e studio la situazione, con
movimenti da bradipo mi sposto piano piano dietro un tronco, mi accovaccio e
vado qualche metro a valle per provare a lanciare sul pesce, benché sia in
posizione infame. Alzo gli occhi…. Sparito di nuovo!!!! Vado avanti come un
marines, è ancora a un metro da riva una decina di metri a monte. Monto il
guadino, una secca (mi vanto un po’, di mia costruzione…) un lancio
discreto, poi uno perfetto e sale. Lotta mostruosa, è proprio un pesce fortissimo
ed instancabile.
Devo scendere a valle, passandomi la canna da un braccio all’atro per
superare gli alberi sulla riva. Dopo tantissimo il pesce è a guadino, ma non
ci entra, troppo grosso. Alla fine non so come entra. Guardo l’orologio, da
quando l’ho avvistato, ferrato e portato a riva è passata un’ora e un
quarto. Il pesce è sui 70-
Nuota ancora libero, ovviamente. Io, morto, sono andato subito a casa…… Una delle catture più faticose della mia
carriera”.
In
Basilicata mi aspetta Eugenio, geologo, collega e compagno di pesca che da
qualche settimana mi pastura con messaggi come questo e con foto vaghe e
sfocate. Potrebbero anche essere carpe…
Il paesaggio lucano è caratterizzato da affioramenti di
argille, massicci calcarei e da morbide colline coltivate a generatori
eolici e grano. Le argille salate generano quei paesaggi brulli, calancosi e
desolati che a loro tempo hanno fatto da scenario a gran parte degli
Spaghetti Western di Sergio Leone. Essendo terreni impermeabili riversano
l’acqua meteorica in fiumare stagionali di scarso interesse alla pesca.
I massicci calcarei fortemente fratturati celano invece
due tesori. In profondità la roccia è permeata d’idrocarburi e negli anni
’80 ENI vi ha individuato il più grande giacimento petrolifero italiano.
Ostruzione politiche ed ambientaliste stanno rallentando enormemente lo
sfruttamento di questa risorsa indispensabile. Stranamente a nessuno piace
il petrolio ma tutti amano andare in giro in macchina. Due - tremila metri
più in alto le stesse rocce assorbono, immagazzino e rilasciano un altro
prezioso elemento: acqua. Acqua pura e freddissima che fluisce gradualmente
in torrenti, e poi in fiumi, popolati di fario autoctone. Due risorse
preziose ed indispensabili purché non vengano mai in contatto tra di loro.
Eugenio è qui per questo progetto. Di giorno studia le mappe geologiche per
individuare l’oro nero, la sera le cartine geografiche alla ricerca d’acqua
fredda e trote. Dopo un’intera stagione di pesca trascorsa quaggiù ha avuto
modo di esplorare parte della regione e trovare torrenti ancora selvaggi,
poco battuti e discretamente popolati di fario.
La zona più interessante è sicuramente quella occidentale
dove le argille lasciano sempre più spazio ai massicci calcarei. I bacini
del Sinni, del Noce e più a sud il Lao, con i loro affluenti sono i più
promettenti. Il Noce ed il Lao, anche se quest’ultimo scorre in gran parte
già in Calabria, sono anche molto vicini a rinomate località balneari
rendendo possibile abbinare spiaggia per la famiglia a qualche pomeriggio di
pesca.
I miei “soliti posti”, anzi, i “nostri soliti posti”, a meno che voi non possediate una riserva esclusiva di pesca, li possiamo dividere in tre tipologie base: acque libere con trote piccole, tratti in concessione con trote quasi sempre di vasca, zone NK con pesce grosso ma non proprio selvatico. Pescare questi torrenti e catturare in acque completamente libere e relativamente comode, pesci selvatici anche oltre i trenta cm mi ha stupito. La pressione piscatoria non è altissima ma i locali trattengono senza esitazione tutto il pescato. Si ha comunque l’impressione che non si diano la pena di dover per forza prendere tutti i pesci del fiume, come capita in molte altre parti d’Italia. Oltre che per passione pare approccino il fiume valutando il bilancio energetico: tempo e sforzo deve corrispondere a proteine da mettere a tavola. Non si spostano fuori dalla loro zona e non si danno pena di camminare ore per prendere due trote, inoltre il sole del sud sembra dar forza solo a vegetazione spinosa ed urticante stringendo i corsi d’acqua in una morsa intricata ed inospitale. I locali se possono evitano queste rive infestate di ortiche, cardi, rovi, robinie… Vi viene in mente un’altra pianta con le spine? Beh, c’è di sicuro!
E vipere, ne ho viste più in tre giorni che negli ultimi
dieci anni. Posti pericolosi per le mani e mortali per i nostri amatissimi waders. Posti che però celano qualche raro bel pesce. Beh, non enormi come
promesso ma si sa, il pescatore onesto, come dice Eugenio, è quello che
applica la regola del 30%: peso, lunghezza e durata del combattimento
possono essere maggiorati fino a questa percentuale ma mai oltre.
Negli ultimi anni ho girato in lungo e largo le acque
dell’ex - Yugoslavia alla ricerca di pesce vero, ho trovato posti stupendi,
acqua meravigliosa, insetti enormi, ma di pesci selvatici ne ho trovati più
da queste parti.
Epilogo
– Le ferie di pesca sono ferie assolute: si stacca dal lavoro, dalla
famiglia e dalle abitudini quotidiane. In questo viaggio ho avuto
l’occasione di visitare posti nuovi, ritrovare posti noti, imparare un paio
di lezioni ed incontrare persone deliziose che mi hanno condotto per mano
alla scoperta del territorio. Come avrete notato, tranne le riserve, sono
stato un po’ vago nel descrivere le zone di pesca. Non è colpa mia, gli
amici locali mi hanno chiesto di lasciare degli spazi vuoti tra le righe,
del resto è più stimolante una vaga possibilità di una ragionevole certezza.
Ho avuto anche la fortuna, anzi,
Fortuna voglio scriverlo con la lettera maiuscola, di superare il mio record
personale: una fario selvatica, presa a secca in acque libere, di
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