Sulle sedge

Idee in movimento

(già pubblicato su Fly Line)

Sportelli marco

 

 

La giornata di pesca è stata lunga. Il sole, la luce eccessiva, i primi caldi cui non sono ancora abituato, m’innervosiscono, ma con il passare del pomeriggio, gradualmente, questa sensazione si stempera e svanisce. Amo la sera, mi rilassa, con la sua quiete caratteristica mi fa tornare in pace con il mondo ed aspettando il tramonto spesso mi capita di sedermi in riva al fiume a ragionare sulle cose, la fretta per esempio, male dei nostri giorni, od il tempo, più in generale. E’ strano l’approccio amore-odio che abbiamo con quest’elemento: il tempo amico che passando scandisce gli eventi (week-end, ferie, compleanni); il tempo nemico, distruttore, quello che consumaRivoli di Osoppo (foto di Gelli S.) le cose, quello che passando porta via amici e momenti felici. La giornata di pesca è lo specchio di questa contraddizione, passiamo il pomeriggio nell’attesa del “cuop de soir” (quello che sto facendo su questo sasso) e quando inizia la festa questo paradosso addirittura si accentua: siamo contenti d’ogni minuto che passa perché i pesci sono sempre più attivi, ne siamo allo stesso tempo dispiaciuti perché il buio e con lui il momento di riporre la canna si avvicina.

E’ un attimo perdersi nei propri pensieri. Il sole è già tramontato. E’ il momento della sedge.

        Ecco le prime bollate. Malgrado stia scrutando l’acqua e il cielo per vedere qualche insetto volare di solito le trote mi anticipano: vedo prima i cerchi sull’acqua, cGacka Aprile 2001 Alle sorgentihe gli insetti. Bisogna sbrigarsi, la sera avanza inesorabilmente; anche le trote, che hanno atteso questo momento, ora sembrano più nervose, come consce della sua breve durata. Seppure sia il momento magico, complice la ridotta visibilità e l’eccitazione dei pesci, non sempre il risultato è garantito: il poco tempo e la scarsa luce ne impediscono un approccio sistematico. Per sfruttare al meglio questi minuti concitati possiamo appoggiarci alle idee maturate da generazioni di pescatori. Mi viene da pensare alle sedge con vistoso ciuffo bianco verticale, per facilitarne la visione serale, od alle mosche già infilate negli appositi aghi passafilo per una loro agevole sostituzione, ma più importante di tutti è azzeccare subito la montatura: un finale più corto e robusto che ci metta al riparo da garbugli e rotture impreviste (è il momento del pesce grosso) ed una mosca indistruttibile che ci permetta numerose catture senza sostituzione, sono il nostro asso nella manica. Quella che poi cambia, più che altro, è l’azione di pesca, il movimento da imprimere all’artificiale. Da sempre mi hanno insegnato che tra far dragare e pattinare una sedge esiste una grossa differenza, ma poi in realtà nessuno me l’ha mai mostrata. Quello che ho notato pescando è che il movimento adescante cambia di volta in volta. A volte ne preferiscono una quasi sommersa che taglia di traverso la corrente, altre, solo quella che zigzaga completamente fuor d’acqua, addirittura succede spesso di scatenare un attacco tenendola immobile a fine passata. Una sera, sul Nera, mi è capitato di pescare su trote impazzite che a pochissima distanza da me aggredivano solo le femmine in ovideposizione, probabilmente attirate dal rumore prodotto dai loro ripetuti tuffi contro l’acqua, ignorando sistematicamente quelle che rimanevano intrappolate o galleggiavano inermi. L’esperienza fu frustrante. Dapprima provai a far saltellare sotto la punta della canna un artificiale alla bell’e meglio, poi con una grossa emergente posata violentemente e ripetutamente sullo stesso posto, ma i risultati furono sporadici. ConfrontateCasella di testo:  ai pesci in attività le rare catture mi trasmettevano l’impressione di casualità. Analizzando ciò che accadeva davanti a me, pensai di collegare con un bracciolo posto 50cm prima dell’emergente un’imitazione galleggiante. Lanciando a valle ed usando la mosca di testa semibagnata come fulcro potevo ora fare saltellare la sedge in verticale a mio piacimento, anche ad una discreta distanza da me. Le trote non aspettavano altro e le catture da sporadiche divennero sistematiche. Non mi entusiasmarono tanto le catture, quanto l’idea, che spacciai come mia fino a quando, qualche tempo dopo, mi capitò in mano un vecchio numero di fly-line in cui trovai descritto lo stesso stratagemma. Che delusione, non ero arrivato primo.  

Osoppo Mularo M. in fase di recupero pesce. (che fosse solo impigliato nell'erba?)

Possiedo da sempre qualche vecchia grossa sedge di Palù che riservo con religiosa cura alle occasioni speciali, sono oramai danneggiate dalle numerose catture ma pattinano sull’acqua come nessun’altra. Non sono mai riuscito a capire il vero trucco per ottenere mosche come queste, malgrado aver copiato montaggio e materiali, così mi sono ingegnato per trovare due soluzioni alternative: una per far pattinare decentemente un’imitazione che galleggia bassa sull’acqua, per intenderci che scia con la parte posteriore delle ali e del corpo appoggiata sulla pellicola superficiale, la seconda da utilizzarsi quando la mosca deve solo sfiorare la superficie, ad imitazione di quegli insetti che ronzano sull’acqua come motoscafini.

 

 

Le sedge che utilizzo nel primo caso sono costruttivamente di stampo classicoCasella di testo:  Nodo rovescio con un collarino ridotto e, nota importante, costruite su amo ad occhiello diritto. Il “trucco” consiste solo nel modo di legarle al finale. Ho notato difatti che l’angolo che si forma tra mosca e nylon appoggiato sull’acqua genera al momento della trazione una componente verso il basso che tende a farla affondare. Occorre utilizzare uno di quei nodi che stringono sulla testa della mosca, ad esempio quello classico da dry fly o l’Harvey knot (da preferire al precedente con ami medio-grossi), ma invece di far fuoriuscire il filo da sopra l’occhiello lo si fa passare da sotto. Con un finale ben ingrassato, al momento della trazione, la testa della mosca non sarà forzata ad abbassarsi ma tenderà a restare alta sull’acqua, perlomeno fino a quando il filo non buca la tensione superficiale ed affonda. E’ evidente che sto' parlando di fili di un certo diametro che sono poi quelli utilizzati abitualmente con questi artificiali.

  Casella di testo:  
Affondamento di una sedge classica in seguito a trazione

Per ottenere invece imitazioni che danno l’impressione di forte movimento e che stanno sollevate dall’acqua occorre intervenire sul dressing. A differenza dei montaggi classici che prevedono un hackle corta sul corpo ed una più lunga sul collarino, i concetti qui sono ribaltati. Probabilmente l’idea non è nuova comunque l’efficacia è notevole. Sul corpo monto a palmer un’hackle con fibre lunghe, scegliendola tra quelle che si rastremano significativamente verso la punta, bloccando il calamo vicino alla curva dell’amo.

 

Casella di testo:  
Harvey knot
In questo modo otterremo un cono di hackles che si restringe progressivamente verso l’occhiello. Montiamo due ali in gallina sagomata, non chiuse a capanna ma aperte a “V” e direzionate leggermente verso l’alto. Per il collarino di testa ci occorre un’hackle abbastanza morbida, buone quelle prelevate dalle spalle di gallo, e con le fibre appena più lunghe delle ultime della precedente.  

Casella di testo:  Nodo classico da secca

 

Anche questa mosca in pesca la legheremo con i nodi di cui abbiamo detto sopra ma nel modo classico, cioè facendo uscire il nylon dalla parte superiore. L’artificiale, lanciato in acqua, tenderà a posizionarsi naturalmente con la parte posteriore più alta e questa posizione si enfatizzerà ulteriormente nel momento in cui subirà una trazione, difatti la sua conformazione ed il filo che forza l’occhiello verso il basso tenderà a portare l’amo quasi in verticale ed il collarino di testa quasi parallelo al piano dell’acqua scivolando così alla grande senza penetrare, sulla pellicola superficiale.

 

Sorgive di Bars - Rivoli di osoppo