Cavedani

Marco Sportelli

 

 

Avevo letto di pesca a mosca su "Pescare" ma non avevo mai visto un pescatore in azione, come neppure conoscevo un negozio in zona che avesse in vendita l'attrezzatura.

L'occasione mi si presentò nei miei vent'anni, quando fui assegnato come Ufficiale di Complemento ad una caserma di Verona. In libera uscita, passeggiando sul lungo fiume, avevo notato un piccolo negozio di pesca che esponeva in vetrina, con semplicità, una discreta varietà d’attrezzatura da mosca. Tutte le sere, come un bambino davanti al banco delle caramelle, m’incollavo alla vetrina, sognando di mosche, trote e di tutta la magia che doveva essere nascosta lì dentro, in quel piccolo negozio. Come investii il mio primo stipendio è scontato. Appena tornai a casa in licenza, montai canna, coda e finale. Legai alla meglio una mosca e senza che nessuno m’avesse insegnato, (si vedeva…e si vede ancora) provai a lanciare su delle timide bollate ottobrine di piccoli cavedani. Con mio grande stupore, nonostante le parrucche, la mosca che non voleva andare avanti e gli schiaffi in acqua della coda, due temerari cavedanelli si fecero catturare dalla mosca, ed io con loro.

Per sempre. 

Siamo dei puristi, è difficile per noi confessare che abbiamo pescato (ed a volte lo facciamo ancora) col verme. All'inizio ed in certi ambienti, trovavo umiliante ammetterlo ed evitavo di menzionarlo, ma ora mi rendo pienamente conto che buona parte delle abilità necessarie che utilizzo per pescare a mosca le ho apprese in quel periodo. 

Ho imparato che le trote non amano le acque aperte ma cercano protezione dalla corrente e dai predatori e prediligono i posti dove converge facile cibo: l'unione di due correnti, od i vortici dietro ai massi dove l'acqua accumula le prede. Ho imparato che il verme non andava lanciato direttamente nella buca, ma più a monte, nella corrente d'ingresso per poi farlo scendere col flusso in profondità.

Quando tutto il mondo era ancora giovane, però, le mie prede usuali non erano le trote, ma bensì i cavedani. Cavedani che per quanto bendisposti al bigatto ero solito insidiare con esche alternative, reperibili a costo nullo. Dettaglio non da poco per le mie finanze inesistenti. Mi ricordo le mattine presto a catturare le cavallette intorpidite dalla rugiada, i grilli, le api a cui avevo imparato a togliere il pungiglione senza ucciderle, le verdine, i gatoss; ognuna andava usata nel suo periodo e con certi accorgimenti. Era una pesca di movimento, che privilegiava la ricerca delle prede piuttosto che il loro richiamo con la pastura. Ma quello che più affinavo era la naturalezza, cercare di far muovere il boccone come farebbe il naturale, seguendolo nella passata con la canna o trattenendolo leggermente dove necessario. Ho appreso dove sosta questo pesce e dove si nutre. Pur non sapendo della sua esistenza avevo cominciato ad imparare le basi della pesca  a ninfa e l'importanza del dragaggio. Ma oltre a tutto questo, oltre a quel mondo al quale non posso più tornare, sono grato al cavedano. E' stato un buon maestro.

 E quando agli ami crebbero le piume, i cavedani erano ancora lì, accomodanti e numerosi per risollevarmi il morale dalle lunghe giornate frustranti e senza catture della pesca alla trota.