Coup du Soir

 

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

 

 

Una valle stretta, in ombra, di quelle dove il sole, nel suo breve arco, fatica a scaldarne i massi del greto. Imboccai il sentiero di ritorno che la sua luce diretta era già un ricordo. Un sentiero gentile, con tagli di roccia, muretti a secco, le brevi salite in parte lastricate, a testimoniare l’importanza e la cura che in altri tempi i pochi locali gli riservavano. Giunto alla macchina sfilai i cosciali e riposta la canna nel baule cominciai a percorrere la stretta strada che mi avrebbe riportato a valle.

 

Dopo ore solitarie sul torrente, con gli occhi ancor pieni d’abeti, pozze d’acqua e coloratissime Fario è bello guidare senza fretta nella luce calda del tardo pomeriggio sapendo che la pesca non è ancora finita.

Al centro dei miei giorni lo avrei risalito ben oltre, sarei ancora là. C’è una stretta gola ma una cengia e qualche appiglio permettono di scendere più a monte, dove la valle s’allarga quel tanto che basta. Non temo l’andata, ho in circolo l’incoscienza del predatore, mi angoscia il ritorno. A mente fredda mi domando “perché”, penso che dovrei esser altrove, a far altro; penso che sono “verso sera”, non ho più l’età per questi posti. Già, “non ho più” è una locuzione sempre più ricorrente. Non ho più l’agilità per risalire un costone, non ho più l’entusiasmo di cercare posti nuovi, e nemmeno l’incoscienza di mettere la tenda nello zaino alla volta di torrenti isolati.

Un tempo la curiosità, la ricerca del limite, la sete di nuove esperienze, prevaleva su tutto. Inseguivo un destino necessario. Avevo bisogno di muovermi senza sosta e far fatica. Quella fatica che annulla i pensieri, che fa diventare la mente corpo. Le rocce chiare degli ostici torrenti friulani, le interminabili giornate piene di sole del sud Jugoslavo, i riali senza nome dell’Appennino, erano esperienze da ripetere o non ripetere solo in funzione del desiderio di rivivere un bel momento o di conservare intatto il fascino del ricordo originario.

Non rinnego quei tempi, perché in realtà non sono mai riuscito a cambiar pelle, ma aggiusto appena l’elenco delle priorità e scopro con “moderato” piacere che l’entusiasmo può essere compensato dall’esperienza.

Adoro queste interminabili giornate di fine primavera che permettono di abbinare la risalita di un impervio torrente a una tranquilla serata in una lama del piano. Mi piace approfondire la conoscenza di un territorio, entrarne in empatia al fine di cogliere i momenti migliori nei luoghi migliori. Amo poter decider liberamente come, dove e quando pescare, senza limiti di riserve, permessi, regolamenti…

Si possono dividere le attività umane in due categorie: quella in cui basta sapere come, e quella in cui è altrettanto importante, se non di più, sapere anche dove e quando.

Gli sport, in generale, appartengono alla prima categoria. Richiedono abilità, allenamento, esperienza, e anche intelligenza, ma ovviamente il tutto si limita a come eseguirli.

La caccia o la pesca, e la pesca a mosca in particolare, appartengono alla seconda categoria. Non basta saper come volteggiare la coda, come costruire mosche, come annodare, presentare, ferrare. E’ indispensabile apprendere giorno dopo giorno dove e quando.

Dove, inteso come quale fiume o parte di fiume, ma anche dove far passare la mosca piuttosto che gli stivali. In pratica quel Senso dell’Acqua di così difficile definizione.

Quando, inteso come periodo dell’anno: una determinata stagione o addirittura settimana, fa la differenza tra un’ottima pescata e un’uscita a vuoto. Quando, anche nell’arco del giorno, -mattino, pomeriggio, sera- certi posti, pur celando bei pesci sono produttivi solo in precisi orari impedendo, di fatto, di spopolarli. Non solo, gli orari migliori variano al variare della stagione e ogni fiume, torrente, risorgiva, per caratteristiche proprie o dislocazione geografica, ha un suo calendario specifico. L’interazione tra queste variabili genera un algoritmo talmente complesso da non poter essere schematizzato. Per quante esperienze facciamo, informazioni raccogliamo, giornate di pesca analizziamo per razionalizzare il quando e il dove, sappiamo d’essere dediti a un’attività senza fine.

Incertezza, probabilità, possibilità… ecco ciò che ci affascina, ci strega, ci stimola costantemente. Per quanto c’impegniamo nella ricerca possiamo solo avvicinarci alla soluzione, mai trovarla. Riusciamo, tuttalpiù, a collocare qualche tessera in un mosaico di cui non conosciamo il disegno.

 

Parcheggiata l’auto poco distante dal fiume mi preparai con calma (questa tessera la conoscevo). Scesi tra la terra morbida dei filari, tra i bassi salici, tra i caldi ciottoli del greto, verso le rondini a volo radente e il primo brivido di fresco dell’acqua corrente. Vedevo in lontananza già le prime bollate e una leggera foschia fuoriuscire dall'acqua. Calma assoluta. Nessuno nei paraggi. Una striscia di mondo tutta per me.

Ci vengo verso sera, ma a volte, quando la stagione è giusta, ci passo la giornata. In quei giorni, qui come in altri posti, sto al fiume tante ore ma in realtà pesco pochissimo. Prima e dopo penso, cammino, aspetto. Soprattutto aspetto e nel farlo sembro triste ma sono solo un po’ lontano. Poi, improvvisamente, un cerchio… e il miracolo si ripete.

Approcciare dopo una lunga attesa un pesce a mezz’acqua, che bolla con ritmo costante, ha un intensità emotiva ineguagliabile. La sfida diventa “uno contro uno”, mi carica d’aspettativa. L’eccitazione e la calma si sovrappongono. Vedo la preda da lontano, la studio, vorrei esser già là ma non ho fretta. So che ho tempo, posso verificare il finale, pianificare l’avvicinamento, valutare lo spazio di lancio, decidere dove mettere i piedi, dove far passare la mosca, dove salpare il pesce. Se avrò la fortuna d’agganciarlo.

Sono “verso sera”, ho già vissuto questi momenti ma ancora m’emozionano. Ho però imparato, ma non sempre, quanto mi posso avvicinare: troppo lontano e mancherò la passata perfetta, troppo vicino e la trota svanirà. Ho imparato, ma non sempre, cosa potrebbe ingannarla: un feticcio piumato che carico d’aspettative, qualcosa in cui credo perché ha già funzionato. Ho anche imparato che questo non basta: la trota potrebbe esser già stata punta, potrebbe essere nel giro di corrente sbagliato, potrebbe rifiutare la mosca e diventare terribilmente schizzinosa. Potrebbe prenderla al primo passaggio… e tra le varie opzioni questa è la meno desiderabile.

Vi sembra strano? Non molto se ci pensate!

Ogni anno passo qualche giorno in un fiume dove so già che le trote usciranno dalle tane solo nel tardo pomeriggio e, se tutto s’allinea alla perfezione, potrò incontrare al massimo 3-4 pesci. Bene, trovare una trota attiva e prenderla alla prima passata è uno spreco. Non prenderla è frustrante. Ma riuscirci dopo qualche tentativo, dopo aver cambiato qualche artificiale, riuscirci quando la legge dei grandi numeri ci regala il lancio perfetto, il lancio che fa cadere la mosca svincolata dal finale e nell’esatta linea di pastura (“Siii, così!!!”  Un attimo d’esaltazione. Ci meravigliamo noi per primi…), o riuscirci addirittura il giorno dopo, è la giusta ricompensa per il lungo viaggio e l’attesa

A pesca cerchiamo emozioni. E l’emozione per non svilirsi deve essere centellinata. Va gustata a piccoli sorsi, come una grappa millesimata.

 

Quando iniziai a pescare le bollate erano già costanti, erano le lente, corpose bollate di pesci importanti. Dopo un paio di rifiuti ruppi sulla ferrata e m’accorsi di aver lasciato il filo di scorta nello zainetto da torrente. Mi strazia il cuore allontanarmi dai pesci in attività. La lenta determinazione con cui le trote di taglia raccoglievano gli insetti sull’acqua m’ipnotizzava, ma con ancora un’ora d’aspettativa di pesca mi decisi a tornare in auto. Avrebbe richiesto solo pochi momenti.

 Anche a buio, anche dopo un’estenuante giornata, smetto di pescare sempre a fatica. Serve un moto di spirito per interrompere il mantra che mi risuona dentro: “ancora un lancio … ancora un lancio”, poi risalgo la sponda, mi giro un’ultima volta a guardare l’acqua e… ogni volta un piccolo dolore infantile mi riassale.

All’alba dei miei giorni finita la scuola mi trasferivo al mare, non in vacanza, a lavorare. La cosa che più mi mancava nei mesi estivi non erano gli amici ma l’acqua corrente. A mio padre che veniva a trovarmi chiedevo del fiume e poi di tutto il resto. Il giorno della partenza mi alzavo prestissimo, prima che la casa si svegliasse, e scendevo ai margini dell’acqua, non a cercar pesci come al solito ma a salutare quel piccolo mondo che custodiva voglia di gioco e libertà, esperienze e momenti felici. Salendo la vecchia scaletta che mi riportava in cortile mi giravo per un ultimo sguardo, e lui si congedava da me con uno scintillio e il ricordo di un profumo: un misto di alghe e fresco dell’erba che serbavo nel cuore fino a settembre.

  

Risalii il sentiero fino ai filari di vite dove avevo parcheggiato. La luce scemava. Trovai subito le bobine e in pochi minuti ero già sulla riva.

 A sera le ombre dilagano dai cespugli e si spandono sull’acqua portandosi appresso un misto d’aspettativa e velata angoscia. Viviamo questo momento con contraddizione, sappiamo che assieme alla notte imminente arriva il desiderato Coup du Soir ma s’avvicina sempre più anche l’ora di riporre la canna.

E’ piacevole lasciarsi mollemente traghettare, attraverso il lungo pomeriggio, da questa fiduciosa attesa, ma il tempo fugge a nostra insaputa. Dovremmo aggrapparci al giorno con le unghie, rallentarlo. Troppo spesso ci distraiamo e lui se ne va mentre siamo intenti a far altro…,

ed è subito sera.

 

Non vi dico cosa provai quando mi accorsi che il mio posto nel frattempo era stato occupato da altri due pescatori. Dovevano essere proprio dietro la curva e aver interpretato la mia mossa in modo errato. Ad ogni modo non potevo certo rivendicarne il possesso. Così, mesto mesto, mi diressi verso il fine piana.

 Diventando grandi facciamo delle scelte. Non perseguiamo la tecnica che ci fa catturare di più ma quella che più ci diverte. I pesci si cibano prevalentemente sott’acqua, è vero, ed è il motivo per cui l’uomo, grande predatore, ha inventato la pesca col verme qualche millennio prima della pesca a mosca. Ma non sempre, a volte salgono a galla. Ho scelto la pesca a mosca e affinato il “quando e dove” proprio per questo motivo, non voglio prendere tutti i pesci del fiume e neppure tutto il giorno ma in quei momenti voglio essere la.

E in questa ricerca ogni tanto mi fermo, un taglio di luce, un’armonia di colori, una perfezione casuale mi fanno aprire gli occhi.

E guardo il mondo.

E’ bellissimo.

 

La luce rossastra del tramonto illuminava ogni cosa con il fascino discreto della nostalgia. Forse stanco, forse appagato dalle catture della giornata, forse semplicemente perché in quel momento della mia vita il crepuscolo accendeva qualcosa di diverso in me ma, stranamente, non avevo la smania della cattura.

Seduto sulla fine sabbia dorata, ancora tutta calda per la carezza di un pomeriggio assolato, appoggiai la canna e li osservai pescare.

 Il bello della nostra passione è che può essere cosi, puoi far collimare i tuoi ritmi con il ritmo di pesca che fai. A volte frenetico a volte pacato ma, finché hai la canna in mano, ben raramente riposante. Le trote, purtroppo son “femmina”, richiedono sempre il massimo prima di farsi sedurre. E’ vero, andiamo per fiumi non solo per la cattura e con la scusa della pesca viviamo esperienze fini a sé stesse: di pesca ci leggiamo, ci scriviamo, facciamo foto, visitiamo posti meravigliosi. A pesca siamo costretti a osservare e studiare con attenzione ciò che ci circonda. Possiamo provare soddisfazione guardando la coda che si srotola leggera, o capire che il nostro artificiale ora scende libero la corrente, ma finché lo facciamo con la canna in mano è sempre solo il pesce che ghermisce il nostro artificiale a certificare il risultato, ad appagare il nostro ego.

 

I due Tizi cominciarono a catturare, sicuramente anche loro avrebbero aggiunto una tessera al loro puzzle personale.

 A volte mi capita di trovarmi a rimpiangere che ci siano altri uomini, e che il loro ignaro scopo sembri quello di turbare, semplicemente con la loro presenza, questa pace divina.  

 

Ma per quella sera, al Diavolo gli uomini e al Diavolo le trote. Chiusi la canna e mi presi un attimo solo per me. Guardai l’acqua limpida scorrere immateriale sopra i miei stivali. Fredda e pura come scorreva tra i piedi del Padre di mio Padre. Fredda e pura come vorrei scorresse tra le mani del Figlio di mio Figlio.

 Uno dei migliori Coup du Soir della stagione.